Lorenzo Manfredini

'Il processo di separazione' di Lorenzo Manfredini

2018-12-11 07:50:00

Separarsi da qualcosa è un andirivieni. Si va avanti, si torna indietro, si rimugina sulla perdita, si mantiene un legame fantastico e virtuale con il mancante, ma c’è un compito fondamentale da realizzare in questa prima fase del processo di separazione: inviare al cervello biologico un messaggio di chiusura, chiara e definitiva, della relazione.La metafora di una tragedia come il naufragio su un’isola deserta può aiutarci a capire quanto sia complessa questa fase. Dopo il naufragio su una spiaggia sperduta e aver realizzato dove si trova, il protagonista prende atto che deve trovare riparo, esplorare il territorio, cibarsi, scrivere un messaggio in bottiglia o fare segnali di fumo. Viceversa, muore.In pratica, il protagonista ‘deve’ accettare il naufragio e con esso la mancanza di strade alternative oltre alla realtà dei fatti. Qualsiasi fantasia viene stroncata dalle evidenze e dal tempo che passa e va riconosciuta. Invece di sperare e di fantasticare recuperi reali o simbolici, il protagonista dovrà tagliare la legna per fare un fuoco, scaldarsi e fare una zattera di salvataggio.La metafora del naufragio ci aiuta a comprendere che in un cambiamento drammatico … ‘o ti adatti, o muori!’.Per ritornare alla nostra relazione, che non c’è più, le parole da dire sono semplici e chiare: ‘la storia è finita, la relazione è finita, mi separo da te!’Cosa succede invece?Si attivano rituali opposti. Si rafforza la memoria della perdita e si compiono azioni e giuramenti che tengono in vita i ricordi in una sorta di legame virtuale, criogenico.Nella nostra metafora del naufragio ci si accascia sconsolati, spiaggiati e ripiegati nel dolore. Si arriva a desiderare di lasciar morire qualche parte di sé e di lasciar naufragare ogni barlume di vita e di speranza: ‘tanto è inutile’.Prima di poter dire ‘chiudo la relazione, mi separo da te per sempre, ti lascio andare’ si fanno i conti con promesse, fissazioni e rituali che congelano il lutto e lo paralizzano.Le promesse (‘non sarò mai più così …’, ‘senza di te non potrò realizzarmi, essere, amare ...’,‘tu sei mio per sempre!’), le fissazioni (atteggiamenti che apparentemente riducono il malessere e fanno sentire ‘a posto’) ed i rituali (comportamenti che reificano la presenza del mancante) diventano la prigione di un io diviso, esausto e incapace di reagire.Questa fase, che è la prima di sei fasi dell’elaborazione del lutto, a mio parere è la più difficile. La persona vive in una bolla senza tempo e senza spazio e ha continue riedizioni dello stesso film.

Lorenzo Manfredini

UP STEP e Formazione al Coaching

2018-12-10 07:21:34

'Alla scuola della vita, ogni giorno, si fanno verifiche ed esami, e si imparano molte cose che mettono a dura prova la realizzazione di un'esistenza soddisfacente.A volte basta un 'click' per ritrovare la fiducia, valorizzare le proprie doti, affrontare le avversità, sfruttare bene il tempo e fissare degli obiettivi.​All'università step, il premio di questo 'viaggio' consiste nel cambiare in meglio il proprio modo di vivere in termini di autostima, equilibrio, obiettività'.

Lorenzo Manfredini

'Il dolore ha un nome' di Lorenzo Manfredini

2018-12-09 08:07:37

La gestione di una perdita, come abbiamo provato tante volte nella vita, comporta una gamma di emozioni che non è controllabile o dominabile a nostro piacimento. All'inizio, soprattutto, non è definibile ciò che si prova.L’evento in sé è chiaro, è mancato qualcuno, è finito qualcosa, abbiamo subito un trauma, il dolore ha un nome, ma quello che si sperimenta affacciandosi a quella finestra, è indefinibile: il dolore e le sue espressioni non trovano casa.A livello fisico possono apparire dei sintomi: insonnia, perdita dell’appetito, mal di testa, nausea, utilizzo di medicinali, situazioni di abuso (es. alcol, sigarette, etc.). A livello psicologico si possono manifestare: crisi di pianto improvvise, confusione mentale, senso di spossatezza, apatia, depressione, senso di colpa, rancore, rabbia.Si provano tante sensazioni e stati mentali che si confondono in un abisso buio e profondo. Appigli esterni non ce ne sono, bisogna trovarli dentro. Occorre fermare quella caduta, muoversi a tentoni, essere presenti a se stessi e cercare di andare oltre il dolore della separazione e del distacco e passare da una definizione del problema (‘senza te perdo me stesso e non sono più nessuno’) a un cambio di paradigma (‘grazie a te ho potuto trovare un pezzo di me e scoprire chi sono’).La ricerca di una connessione con l’amore vissuto precedentemente crea un ponte non risolutivo, ma utile per aprire un nuovo scenario mentale: ‘ti ringrazio, con te sono stato bene, ho provato certe cose, mi sono conosciuto meglio’.La presenza dell’altro ha creato attaccamento, sicurezze e investimenti emotivi che ora non ci sono più. E’ necessario, in questa fase, creare un’esperienza alternativa al cervello, una presa di coscienza, un ponte di sostegno, atti di consapevolezza che non interferiscano con il suo preziosissimo lavoro di riparazione.Le decisioni prese in questa prima fase non hanno un potere effettivo totale, ma rappresentano un primo passo affinché la separazione sia presa in considerazione e si realizzino due fenomeni: l’individuazione ‘io sono io’ e l’autonomia ‘grazie a te ho provato, ho vissuto e sono cresciuto … ma io sono io e tu sei tu’.Già solo ripetere queste frasi crea le basi per alleggerire il carico emotivo, percepire un senso di padronanza, di autostima e consapevolezza delle proprie risorse individuali.E’ un momento estremamente delicato dove soffrire, soffocare, contenere, sono tutt'uno. In quel magma, che non solo riguarda la perdita di qualcuno o di qualcosa ma anche passaggi della vita e crisi evolutive, dobbiamo promettere a noi stessi, fin dall'inizio, fin da prima che accada qualcosa che non vorremmo, che: ‘qualsiasi cosa accada faremo il possibile per dare il meglio di noi’. Riuscirci sempre è un’altra storia, ma provarci è un buon inizio.

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