La parola del giorno è
Aura
[àu-ra]
SIGN Aria, brezza, soffio; alone, atmosfera; in estetica, qualità sacrale e rituale dell'opera d'arte originale, specie non riprodotta
voce dotta, presa in prestito dal latino [aura], a sua volta prestito dal greco [aúra] 'soffio di vento, brezza'.
Siamo assorbiti da una concezione dell'aura come alone, luminoso o di energie sottili, che circonda e precede qualcuno o qualcosa, come un'atmosfera che ne promani. Pensiamo all'aura di santità che soffonde il mistico, all'aura di adorazione che si porta dietro l'artista riconosciuta e rispettata, all'aura di mistero che aleggia intorno a un delitto, o intorno a un edificio.
Concepiamo l'aura quasi come una radiazione, a ben vedere quasi come un'aureola — che etimologicamente non diminuisce 'aura', ma aurea, 'dorata', attributo di corona. E non si può non pensare che aureo e aureola non abbiano pesato su questa nostra concezione. L'aura nasce però come un soffio.
Il latino aura è mutuato dal greco aúra, che ha proprio il senso di 'soffio di vento, brezza'. Quando Petrarca, nel suo forse più famoso verso, disegna "i capei d’oro a l’aura sparsi", oltre a giocare sul nome di Laura ci presenta capelli biondi mossi nel vento. Don Bartolo, nel Barbiere di Siviglia, canta "La calunnia è un venticello,/ Un'auretta assai gentile". E si può parlare ancora di come spiri un'aura profumata di zagare, di come soffi un'aura di novità, di come un'aura fresca ci appacifichi, o come una di pace ci rinfreschi. Soffio, non radiazione.
La parola del giorno è
Panglossiano
[pan-glos-sià-no]
SIGN Esageratamente ottimista, idilliaco, che riconduce tutto necessariamente a un disegno positivo
dal nome di [Pangloss], personaggio del racconto filosofico di Voltaire "Candido, o l'ottimismo".
Una parola dalle grandi possibilità, che però vanno considerate bene, perché non è semplice come pare. Il panglossiano è sì esageratamente ottimista, ma in una maniera precisa. Per comprenderla si deve partire dal celebre racconto filosofico di Voltaire del 1759 da cui nasce: Candido, o l'ottimismo.
Il personaggio più rappresentativo del racconto è il dottor Pangloss, precettore del protagonista Candido, e fautore di una particolare filosofia, che di solito viene sintetizzata nel 'viviamo nel migliore dei mondi possibili'. C'era un filosofo che aveva sostenuto qualcosa del genere fra Sei e Settecento — uno dei più famosi. È Leibniz: in questa frase si sintetizzano certi suoi lunghi e complessi ragionamenti sulla giustizia divina, che affrontano la terrificante domanda del 'Se Dio esiste, il male da dove viene?'. Dando una mezza risposta leibniziana (mi perdoneranno gli esperti), diciamo che perché l'uno organico del creato potesse includere alcuni aspetti, quale ad esempio il libero arbitrio, doveva comprenderne in maniera ineludibile altri che qualifichiamo come 'male', secondo una necessità impenetrabile — e insomma, vuoi davvero fare l'allenatore del lunedì con Dio?
Voltaire, scovandovi un limite della metafisica, la prende a ridere: dà a Pangoloss un nome che parodia le speculazioni e i tentativi di comporre una lingua universale di Leibniz (pân in greco è 'tutto', glôssa 'lingua'), e gli mette in bocca una versione caricaturale del 'viviamo nel migliore dei mondi possibili'.
"Notate che i nasi son stati fatti per portare gli occhiali, infatti abbiamo gli occhiali. Le gambe sono visibilmente istituite per esser calzate, e noi abbiamo calzoni."