L’idea più bella è quella condivisa, che non teme il cambiamento, fedele a se stessa eppure aperta al nuovo.

Quella che non diventerà mai intolleranza o prevaricazione perché ogni buona idea è figlia del confronto.

Mamma e papà tenevano le mani allacciate strette alle mie, non si fidavano poi tanto della ragazzina di otto anni che amava correre libera per prati e sentieri. Bastava qualcosa che attirasse la mia attenzione, una farfalla, l’abbaiare di un cane, il campanaccio di una mucca, per farmi volare come il vento spinta dalla curiosità. La dolce conca tra il Pian Grande e il Pian Perduto, richiamava turisti e curiosi affollati lungo la strada di accesso al borgo di Castelluccio, macchine fotografiche alla mano e bocche aperte dallo stupore. Guardavo i loro visi e mi sentivo privilegiata, lo spettacolo della fioritura era lì per me tutti gli anni. Avrei voluto spiegare alle persone venute da lontano che vederla un solo giorno era come mangiare una pizza. Puoi dire che è buona ma solo dopo averle assaggiate tutte capisci la differenza tra la margherita e la capricciosa. La fioritura di Castelluccio è così, solo dopo averla vista mutare un giorno dopo l’altro ne capisci la magia.

Quel che è certo, a parere di Jonathan, è che il giapponese ha stoffa da vendere. Se poi dietro all’aura di pura passione si celano interessi ben più torbidi, non saprebbe dirlo. Forse, si convince, a depistare è la costante mitezza di Arata, mai il suo tono di voce ha assunto i toni acuti della rabbia, mai i suoi occhi a mandorla si sono stretti a fessura. Sembra impossibile, per un americano, rimanere calmo e pacifico nella tempesta. A volte non è nemmeno necessaria una tempesta per perdere le staffe. 

Tratto da “Fioriture nel mondo”, edito da Theta Edizioni