PERCHE' IL SIMBOLO DI CATANIA E' IL LIOTRU?
Il simbolo di Catania è l'elefante. Nella città etnea si trova un po' dappertutto: dallo stemma civico al gonfalone dell'università, dalle decorazioni esterne del palazzo municipale (chiamato appunto "palazzo degli elefanti") alla denominazione araba di Catania, che era chiamata nelle antiche cronache" Balad-el-fil" o "Medinat-el-fil" cioè "la città dell'elefante.
L' elefante di pietra troneggia nella più storica piazza della città, nella celebre fontana innalzata dal Vaccarini nel 1735-1737 sul modello della fontana della Minerva in Roma.
I catanesi sono assai affezionati al loro pachiderma, tanto che scherzosamente si autodefiniscono "marca elefante" (marca liotru) per dire che sono catanesi autentici e non della provincia.
In realtà non hanno torto a vedere nel loro elefante il simbolo della città perché la statua lapidea da essi chiamata "Liotru" è intimamente legata agli avvenimenti storici catanesi.
L'origine della statua è stata oggetto di discussione per gli studiosi e parecchie ipotesi. Tra le più notevoli si ricorda quella espressa da Biagio Pace (1949) il quale, basandosi sulle descrizioni del geografo arabo Drisi, che viaggiò per la Sicilia nel periodo 1145-1154 per ordine del re normanno Ruggero II, ne accetta l'interpretazione, confermando che si tratta di una statua magica, cioè di un vero e proprio talismano, costruito in età bizantina e posto fuori le mura a guardia e difesa della città dalle offese del vulcano.
.... arte, storia e folklore... questa è la mia Catania!!!..
... buonanotte...
“Sempre Caro Mi Fu Quest’Ermo Colle”: L’Infinito di Leopardi Compie 200 Anni
Una delle liriche più famose e significative della nostra letteratura, L’Infinito, compie 200 anni. Era infatti il 1819 quando Giacomo Leopardi, appena ventenne, la compose. Quello che in apparenza è un testo semplice, racchiude in realtà un mondo di significati estremamente profondi, e una rara complessità d’animo.
Attraverso i suoi versi Leopardi si rivolge all’uomo di ogni tempo ed è anche per questo che il fascino di questa poesia resiste dopo due secoli. Allo stesso tempo, però, L’Infinito ci porta in mondi lontani e remoti, in un epoca in cui l’uomo sapeva ancora ascoltare i “sovrumani silenzi” e la “profondissima quiete”.
Fu soltanto nel 1826 che la lirica venne pubblicata negli “Idilli”, quando Leopardi si era ormai allontanato da Recanati, spezzando il legame che lo teneva prigioniero di quell’ambiente decadente e restrittivo. Nel 1819, però, durante i suoi lunghi e solitari pomeriggi, il giovane Giacomo saliva spesso in cima al colle nei pressi della sua villa a Recanati, provando ad immaginare di lasciare gli stretti confini di una vita di provincia con tutte le sue imposizioni. La siepe della poesia è stata spesso descritta come un ostacolo, poiché esclude “il guardo”, ma è grazie alla sua invalicabilità che Leopardi trova la voglia e la forza di guardare oltre: “sedendo e mirando”, il poeta ammira con gli occhi e con l’anima tutto il mondo che si apre davanti a lui.
“Ma sedendo e mirando, interminati Spazi di là da quella, e sovrumani Silenzi, e profondissima quiete Io nel pensier mi fingo; ove per poco Il cor non si spaura. E come il vento Odo stormir tra queste piante, io quello Infinito silenzio a questa voce Vo comparando: e mi sovvien l’eterno, E le morte stagioni, e la presente E viva, e il suon di lei. Così tra questa Immensità s’annega il pensier mio: E il naufragar m’è dolce in questo mare.”
... tutto ciò mi affascina e mi prende dentro..
.... eh si... amo la letteratura...
.. buona serata 🤗...