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La torta in cielo
Le torte al posto delle bombe.
E' meglio fare torte di cioccolato invece che costruire bombe nucleari...
E' questo il "gustoso" messaggio di pace di una delle filastrocche più famose di Gianni Rodari,
LA TORTA IN CIELO
Io sono un sognatore,
ma non sogno solo per me:
sogno una torta in cielo
per darne un poco anche a te.
Una torta di cioccolato
grande come una città,
che arrivi dallo spazio
a piccola velocità.
Sembrerà dapprima una nuvola,
si fermerà su una piazza,
le daremo un’occhiatina
curiosa dalla terrazza…
Ma quando scenderà
come una dolce cometa
ce ne sarà per tutti
da fare festa completa.
Ognuno ne avrà una fetta
più una ciliegia candita,
e chi non dirà «buona!»,
certo dirà «squisita!»
Poi si verrà a sapere
(e la cosa sarà più comica)
che qualcuno s’era provato
a buttare una bomba atomica,
ma invece del solito fungo
l’esplosione ha provocato
( per ora nel mio sogno)
una torta di cioccolato.
La parola 'sogno', ripetuta nel testo oltre al significato fondamentale di "attività mentale che si svolge durante il sonno" ha anche il senso di "desiderio", "speranza". Il sogno di Gianni Rodari è dunque un desiderio, una speranza: che tutte le bombe atomiche diano vita a torte di cioccolato, scompaiano dalla terra con il loro carico di morte e distruzione.
Il pacifismo di Rodari.
Una mattina d’aprile verso le sei un misterioso oggetto sorvola una grande città. Una città tentacolare, frazionata in mille località distinte, che gli abitanti chiamano "borgate". La borgata del Trullo si trova nella periferia sud-ovest, in prossimità della valle del Tevere Sud, in un fondo valle dove scorre il Fosso di Affogalasino, tra due alture: il Monte Cucco e il Monte delle Capre.
È il luogo che, nel ‘39, l’Istituto Autonomo delle case Popolari, ha scelto per la costruzione del quartiere che tuttora costeggia la via del Trullo. Ne è sorta una borgata popolare, progettata secondo la tendenza razionalistica, che si frappone tra quella popolare di Monte Cucco e l’altra, prevalentemente abusiva, del Monte delle Capre.
È questo lo scenario in cui Gianni Rodari ambienta La torta in cielo (1964), «nata nelle scuole elementari Collodi, borgata del Trullo, Roma, tra gli scolari della Signorina Maria Luisa Bigiaretti», pubblicata per la prima volta a puntate sul «Corriere dei Piccoli» a partire dal 1964 e nel 1966 anche in libreria. Una storia concepita per affascinare bambini di tutte le condizioni sociali. Una favola moderna, una storia per ragazzi intessuta di argomenti che stimolano i genitori ad affrontare con i figli argomenti di attualità, impegnativi ma reali.
Infatti è tempo di Guerra Fredda e Bomba H, la terrificante bomba all’idrogeno. In questi anni, l’occupazione femminile a Roma e in Italia è fra le più basse in Europa. Una volta sposata, una donna tra i 30 e i 49 anni di rado riprende a lavorare regolarmente. Più facile che svolga un lavoro part-time, a domicilio, o un lavoro nero. Il marito, fuori casa per 10 o più ore al giorno, la moglie per lo più a casa con i figli, occupata nelle faccende domestiche.
Sora Cecilia e il marito, il vigile Meletti, i mitici genitori dei protagonisti de La torta in cielo sono dunque due componenti tipici di questa fascia sociale: prototipi di una caratteristica famiglia italiana anni ‘60 (appartenente a una borghesia piccolissima ma vastissima), che si ritrovano quotidianamente a dover uscire precipitosamente di casa. Questa volta Lui è convocato al comando per un’emergenza insolita, “spaziale”, Lei per correre a fare un’iniezione a un paziente.
In questo clima di concitazione, Paolo e Rita, i personaggi principali intorno a cui si sviluppa l'azione de La torta in cielo, restano incontrastati padroni del campo.
La storia è intessuta di citazioni e riferimenti che i bambini possono cogliere agevolmente; altre fiabe, come Cenerentola, Pinocchio, ma anche l’Odissea di Omero, l’Inferno e il Paradiso di Dante.
E così il nome del pilota che viene incaricato di ispezionare da vicino l’oggetto non identificato è «Dedalo», come il nome del geniale architetto che, nella mitologia greca, progettò e costruì il Labirinto di Creta. Egli svolge la missione tenendosi costantemente in contatto con la centrale operativa (nome in codice «Diomede», come il re che usava gettare gli stranieri di passaggio in pasto alle sue cavalle alate). Ma la mitologia che avvolge questi nomi altisonanti ed eroici lascia trasparire una organizzazione casalinga, popolata in realtà di marescialli e appuntati.
È troppo facile immaginare che, nell’ombra che si staglia inquietante sulla città, l’apparato burocratico reagisca nel modo più prevedibile: con la paralisi. Nelle stanze del potere aleggia una sola parola: «cautela». I pezzi grossi (professori, sc
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