Luigi eugenio Stanco

< 2/14 > Il pangolino arboricolo (Phataginus tricuspis) è una specie appartenente agli ordini dei Folidoti, specie lente e pacifiche che si nutrono di insetti sociali come formiche o termiti. Le scaglie del pangolino, che lo proteggono dai nemici e dai morsi delle formiche operaie, sono considerate un rimedio per molte malattie in base alla medicina tradizionale cinese, un insieme di superstizioni che usa i più vari prodotti animali e sta portando all’estinzione molte specie. Negli ultimi anni sono state intercettate numerose spedizioni di pangolini, catturati da organizzazioni criminali per alimentare il mercato orientale.

Luigi eugenio Stanco

In pericolo di estinzione: 13 fotografie da uno splendido libro Un grande progetto durato anni ritrae animali in pericolo di estinzione in una serie di eccezionali fotografie. < 1/14 > Il fotografo Tim Flach ha scattato migliaia di fotografie in natura o in condizioni controllate per ritrarre specie animali in pericolo di estinzione. Il suo progetto vuole far capire quale potrebbe essere la perdita per l’intero pianeta se anche una sola specie animale va perduta. In collaborazione con lo zoologo Jonathan Baillie, della National Geographic Society, e lo scrittore Sam Wells ha prodotto un libro di rara bellezza per spiegare le meraviglie e la fragilità di un pianeta, rappresentato dalle sue specie più emozionanti. Nella foto: lucciole in un bosco giapponese. Le lucciole sono piccoli coleotteri della famiglia Lampyridae, che emettono una luce fredda grazie a un processo biochimico che si svolge nell’addome. I segnali, la cui frequenza è diversa per ogni specie, servono ad attirare i membri dell’altro sesso per l’accoppiamento.

Luigi eugenio Stanco

È vero, gli esseri umani non sono in grado di annusare e individuare un carico di droga o di esplosivo in aeroporto, oppure di riconoscere qualcuno solo dall’odore, come possono fare i cani. Tuttavia la nostra capacità olfattiva sembra che sia sempre stata sottovalutata. Vita da cani È quello che emerge da un nuovo studio che ha visto protagonisti una trentina di studenti dell'università di Berkeley, in California, che bendati e a quattro zampe dovevano seguire un tracciato odoroso di 10 metri, in una decina di minuti. La scia di essenza di cioccolato, con cui era stato cosparso il pezzo di terreno erboso, è stata rintracciata con successo, nel tempo stabilito, dai due terzi dei volontari. E i ricercatori si sono anche accorti che nei giorni seguenti le loro performance miglioravano notevolmente. Cosa che ha fatto supporre che la nostra capacità olfattiva sia un po’ “fiaccata” dal poco uso. Meno naso, più testa Se rispetto a cani e topi, inoltre, abbiamo pochi recettori dell’olfatto - e la varietà degli odori che riusciamo a riconoscere non è così ampia e dettagliata come in questi animali - a nostro vantaggio abbiamo il cervello. Secondo il team che ha condotto la ricerca, infatti, riusciamo a rimediare alle nostre lacune di tipo strutturale, con una buona capacità di analizzare e elaborare le informazioni, avvicinandoci così in parte a quello che può fare il naso di un cane. E proprio come fanno i cani, anche noi identifichiamo l’odore con numerose sniffate, ma quando una delle due narici viene tappata - come è successo agli studenti - la nostra capacità di seguire il tracciato odoroso peggiora. Probabilmente le narici agiscono in coppia per conferire all’olfatto un effetto “stereo”, utile per l'identificazione degli odori nello spazio, più che al suolo.

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