Paola Buonomini

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TRE CONDIZIONI PER SEGUIRE GESÙ Nel Vangelo di oggi (Luca 14, 25-33) Gesù pone tre condizioni che potremmo dire ostative rispetto alla scelta di essere suoi discepoli. La prima è non amare il padre, la madre, i fratelli, le sorelle, i figli e perfino la propria vita più di quanto amiamo lui, Gesù; addirittura il testo originario è più forte, anziché amare di meno lì si dice “odiare”. Questo pare sia conseguenza della povertà di vocaboli della lingua parlata da Gesù, comunque la dice lunga sulla priorità di affetti richiesta al discepolo... La seconda condizione è portare la propria croce per andare dietro a Gesù. La terza consiste nella rinuncia a tutti i propri averi. Queste tre condizioni sono presentate poiché “una folla numerosa andava con Gesù”: come dire che gli sembra che i suoi seguaci siano troppi, c’è bisogno di verificare le reali motivazioni e intenzioni di questa sequela affollata. Al contrario di quello che si fa spesso nella Chiesa, quando la prima verifica della riuscita di un’iniziativa consiste nella conta dei presenti, nelle chiese o nelle piazze o nelle sale piene. Quelle tre condizioni mi fanno pensare alle tre domande che la Chiesa pone nelle promesse battesimali. Prima della triplice risposta “Credo!” per la professione di fede, si risponde per tre volte: “Rinuncio!”. La fede del discepolo, non solo credente e praticante ma anche e soprattutto seguace di Gesù, disponibile a andare controcorrente insieme a lui, è una fede capace di tagli dentro la propria vita e di opposizione allo spirito del mondo. Pensando all’ordine degli affetti familiari, valga l’esempio di don Innocenzo Lazzeri, che nell’infuriare della tempesta nazista in Alta Versilia, nonostante la supplica dei suoi familiari di restare a casa con loro, va tra la sua gente e muore da autentico pastore fedele, insieme con il suo gregge. Il portare la propria croce per seguire Gesù è la sofferenza grande di tante persone che affrontano con fede malattie e dolori atroci unendosi al sacrificio di Gesù, di genitori che vivono il dramma di figli che si stanno perdendo, di chi per fedeltà alle sue convinzioni profonde va incontro a persecuzioni e morte. La terza condizione è dura, impegnativa, fonte di contestazioni ieri a Gesù, oggi nella Chiesa: rinunciare a tutti i propri averi per essere discepoli. Qui si oppongono – come tanti anni fa nel libro di Erik Fromm – avere ed essere. Avere come legame che schiaccia, appesantisce, impedisce lo slancio verso l’alto, verso il Regno dei cieli. La proprietà delle cose come zavorra frenante rispetto al volersi dirigere nella prospettiva di Gesù, dietro ai suoi passi. Gesù non è nemico dei ricchi, anzi li ama, li vuole felici, li vuole con sé nel Regno. Sta a loro scegliere a quale padrone servire, al denaro o a Dio. A commento di questa ultima condizione mi piace ricordare l’affermazione del grande campione Gino Bartali: “l’ultimo vestito è senza tasche, da questo mondo non si porta via niente”. Lui pedalava agile sulle strade della terra, macinava chilometri per salvare gli ebrei e metteva a rischio la propria vita nascondendoli in casa sua senza la zavorra di voler salvare prima di tutto la propria vita. Aveva davvero imparato a essere, sbarazzandosi dell’avere. Buona domenica!

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