Giulia Stefanizzi

L'elogio funebre di Franz Kafka, scritto da Milena Jesenká

2019-03-21 10:32:18

"Nel sanatorio di Kierling presso Klosterneuburg nei dintorni di Vienna è morto l'altro giorno il dott. Franz Kafka, scrittore di lingua tedesca vissuto a Praga. Qui lo conoscevano in pochi perché era un individuo solitario, un uomo sapiente, spaventato dal mondo. Da anni era affetto da una malattia polmonare e sebbene la curasse, tuttavia consapevolmente la nutriva e incoraggiava col pensiero. Quando l'animo e il cervello non riescono più a tollerare il peso, scrisse una volta in una lettera, i polmoni se ne addossano la metà, affinché esso perlomeno sia meglio distribuito. Così fu anche per la sua malattia. Essa gli conferiva una delicatezza quasi stupefacente, un raffinamento d'ingegno del tutto alieno da compromessi; ma lui, l'uomo, aveva scaricato sulla malattia tutta la propria angoscia intellettuale. Era timido, timoroso, delicato e buono, ma i suoi libri sono crudeli e dolorosi. Nel mondo scorgeva invisibili demoni, che straziano e distruggono l'essere umano indifeso. Era troppo perspicace, troppo saggio per poter vivere, troppo debole per lottare, debole come lo sono le creature nobili, belle, che non sono capaci di accettare la lotta contro la loro paura dell'incomprensione, della mancanza di bontà, della menzogna intellettuale, poiché sin dal principio sono coscienti della loro fragilità e nella sconfitta umiliano l'avversario. Conosceva gli uomini, come solo un essere di grande sensibilità nervosa è in grado di conoscerli, un essere solitario, che da un unico sguardo, quasi profeticamente comprende l'altro. Conosceva il mondo in modo insolito e profondo, era lui stesso un mondo straordinario e profondo. Scrisse i libri più significativi della letteratura tedesca contemporanea; in essi si esprime la lotta dell'attuale generazione, e tuttavia non sono mai tendenziosi. Essi sono autentici, nudi e dolenti, a tal punto, che anche quando si esprimono per simboli essi rimangono quasi naturalistici. Sono pervasi dall'ironia asciutta e dal sensibile stupore di un uomo che aveva compreso a tal punto il mondo da non poterlo sopportare e che doveva morire se non voleva come gli altri rifugiarsi nei compromessi o nei più nobili equivoci della ragione o dell'inconscio. Il Dr. Franz Kafka ha scritto il frammento Der Heizer (Il fochista) pubblicato il ceco, dall'editore Neumann nella rivista «Cerven», primo capitolo di un romanzo meraviglioso e ancora inedito, Das Urteil (La condanna), che tratta del conflitto tra due generazioni, Die Verwandlung (La metamorfosi), il libro più potente della letteratura tedesca contemporanea, Die Strafkolonie (La colonia penale) e gli abbozzi Betrachtung (Meditazione) e Landdarzt (Medico di campagna). Il manoscritto dell'ultimo romanzo Vor dem Gericht (Di fronte al tribunale) è da anni pronto per la stampa. Si tratta di uno di quei libri che, una volta letti, lasciano in noi l'impressione di un mondo a tal punto compreso nella sua totalità da rendere superfluo ogni commento. Tutti i suoi libri descrivono l'orrore di misteriose incomprensioni, di colpe immeritate diffuse fra gli uomini. La sua coscienza di uomo e artista era a tal punto affinata da consentirgli di penetrare anche laddove gli altri, sordi, ritenevano di essere al sicuro."

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Giulia Stefanizzi

Susanna Casciani

2019-03-18 16:08:02

Io esigo un po’ di poesia, altrimenti appassisco, mi spengo, mi deterioro. Alzarsi ogni mattina e vedere solo sguardi vuoti, sentire discorsi pratici e razionali, oppure battute senza senso, mi fa consumare dentro. Vivere così mi stanca. Non è correre da una parte all’altra, non avere un attimo di respiro. Non è il lavoro, il telefono che suona, non sono le notti in bianco. È la mancanza di poesia che mi sfinisce. Come quando le persone si dimenticano di baciarsi, di abbracciarsi e di guardare il cielo. Come quando le parole delle canzoni sono solo parole e non più storie. Come quando non ringrazi più per la bella serata, per la bella giornata, per un bel gesto. La poesia, per me, è far caso a quello che ci circonda, è il coraggio di commuoversi ancora, è la fantasia che trasforma un foglio di carta in un fiore. La poesia, per me, è dire “me ne frego di tutto e vado al mare”, è saltare nelle pozzanghere anche quando si è grandi, fare “m’ama o non m’ama” con le margherite, aspettare l’alba insieme a qualcuno che ci vuole bene. È continuare a giocare anche se tutti ti guardano male, è alzarsi un po’ brilli alla fine di una cena e improvvisare un lento. Io senza non ce la faccio, sul serio, mi spavento, mi manca il respiro, non sono io, e forse dovrei crescere, ma se crescere vuol dire smettere di sentire, smettere di ribellarsi, allora no, ci rinuncio, perché io voglio sentire tutto, perché io voglio fare la rivoluzione.

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Giulia Stefanizzi

Charles Bukowski

2019-03-17 11:27:27

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