Erik Ius
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Quando un uomo di circa 40 anni della Carolina del Nord è stato fermato con l’accusa di guida in stato di ebrezza la polizia non ha creduto neppure per un attimo che non aveva bevuto alcol. L’uomo si è però rifiutato di sottoporsi al test per l’etilometro, allora è stato portato in ospedale dove il sul livello di alcol nel sangue è risultato dello 0,2%, all’incirca due volte e mezzo il limite legale, l’equivamente di una decina di drink all’ora. Neppure i medici, almeno all’inizio, hanno creduto alla sua versione: sembrava impossibile che non avesse bevuto neppure un bicchierino. I ricercatori del Richmond University Medical Center di New York alla fine hanno però scoperto che l’automobilsta diceva la verità: non stava bevendo birre o cocktail. Piuttosto nel suo intestino è stato trovato lievito che convertiva i carboidrati ingeriti come alimenti in alcol. In altre parole, il suo organismo era in grado di produrre birra. Il risultati di questa osservazione sono stati riportati sul BMJ Open Gastroenterology. Al paziente è stata diagnosticata una condizione medica rara: l’auto-brevery syndrome (ABS), nota anche come sindrome della fermentazione intestinale. In poche parole l’uomo risultava in grado di produrre birra nel proprio intestino: quando il paziente mangiava un pezzo di pane o un piatto di pasta il lievito presente nel proprio organismo dava inizio a un vero e proprio processo di fermentazione degli zuccheri, che venivano trasformati in etanolo. «Questi pazienti hanno le stesse problematiche degli alcolisti: odore d’alcol, respiro pesante, sonnolenza, andatura barcollante. Si presentano proprio come le persone intossicate dall’alcol, con l’unica differenza che questi pazienti possono essere trattati con farmaci antifungini» ha commentato alla Cnn Fahad Malik, autore principale dello studio
Erik Ius
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È il cosiddetto effetto Mpemba, dal nome dello studente della Tanzania, Erasto Mpemba. Nel 1963 notò che un impasto per fare il gelato congelava prima se era tiepido che se era freddo. Anni più tardi Erasto si iscrisse all’università, alla facoltà di fisica, e pose la domanda a un suo docente. Insieme, nel 1969, scrissero una pubblicazione scientifica che spiegava il fenomeno. L’effetto Mpemba è il risultato di diversi fattori, non tutti ancora chiariti. Certamente, contribuisce il fatto che, al contrario dell’acqua fredda, quella calda evapora e quindi, dopo un certo tempo, la quantità che deve congelare diminuisce. Inoltre, l’acqua fredda contiene più gas disciolti, e la presenza di queste sostanze tende a far abbassare la temperatura alla quale inizia il congelamento, rallentando il processo. Infine, in un liquido caldo i movimenti di convezione (dall’alto verso il basso e viceversa) sono maggiori, e questo impedisce che, all’inizio del congelamento, si formi in superficie uno strato sottile di ghiaccio che, nell’acqua fredda, ha l’effetto di isolare termicamente la parte ancora liquida, rallentando l’ulteriore congelamento.
Erik Ius
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