Elisabetta Lazzari
Chi la spunterà?
Elisabetta Lazzari
Lo sviluppo dell'Alzheimer e la proteina beta- amiloide Lo sviluppo dell’Alzheimer è strettamente connesso all'accumulo di proteina beta- amiloide che va a distruggere le sinapsi, impedendo la comunicazioni tra cellule nervose e provocando così, la perdita di memoria ed il deterioramento cognitivo tipico di questa patologia. In realtà, Un processo che inizia molti anni prima che il paziente diventi sintomatico. Uno studio condotto pochissimi anni fa da una equipe guidata da A. Cattaneo, neurobiologo presso l’Ebri, Istituto Europeo per la Ricerca sul Cervello - fondato dal premio Nobel Rita Levi Montalcini - ha recentemente condotto una ricerca, insieme ai suoi collaboratori e grazie alla quale è stato possibile individuare il “sito” nel quale, alcuni elementi fortemente tossici e coinvolti in modo fondamentale nella malattia di Alzheimer si accumulano e si aggregano, prima di costituirsi in placche. Essi hanno cioè scoperto il luogo specifico in cui iniziano a formarsi i “mattoni” alla base della formazione della proteina b/a. I risultati di questa ricerca sono stati pubblicati sulla rivista “Nature Communication”. Tali elementi o “mattoni”, sono rappresentatati dagli oligomeri patologici di a/beta; il sito in cui essi si aggregano è costituito dal reticolo endoplasmatico, ovvero un labirinto di piccoli canali dai quali il nucleo delle cellule è circondato. Presso l’Ebri è stato possibile sviluppare una tecnica selettiva che ha consentito di effettuare una “fotografia” di questa struttura endocellulare che svolge un ruolo fondamentale per la malattia Alzheimer. L' importanza fondamentale di questa scoperta è rappresentata secondo gli scienziati che hanno condotto questo studio, nel fatto, che essa sembra offrire uno spiraglio nella possibilità di sviluppare delle terapie farmacologiche realmente efficaci, che vadano a colpire esattamente quelle zone cerebrali in cui si aggregano queste proteine altamente tossiche permettendo così di intervenire il più precocemente possibile nella malattia di Alzheimer. Più specificatamente, nel corso dello studio,, sono stati sperimentati su cellule vive, degli anticorpi attivi all’interno delle cellule denominati “magic bullett". Il neurobiologo Antonio Cattaneo e la sua equipe, potrebbero quindi aver scoperto per la prima volta, un’arma dal grande potenziale terapeutico per bloccare fin dagli esordi e nel suo primissimo manifestarsi, questa grave malattia neuro degenerativa. I risultati di questa ricerca, sono stati resi noti quasi contemporaneamente alla creazione da parte di un team di scienziati della Oxford University e del King College di Londra di un test del sangue che dovrebbe permettere di individuare con più di un anno di anticipo se il paziente che vi sottopone si ammalerà di Alzheimer oppure di altri tipi di demenza. Questo, sempre al fine di poter intervenire in modo tempestivo a livello farmacologico, quando il paziente è ancora capace di esprimere oppure negare, il suo consenso alle cure. La somministrazione di questo test ematico per capire se la persona svilupperà presto l’Alzheimer o altre demenze, suscita, come è comprensibile, molte perplessità a livello bioetico. Bisogna infatti considerare sempre la possibilità di errori e di falsi positivi. D’altra parte, è necessario che coloro che sono malati ma ancora capaci di prendere decisioni possano esprimere il loro parere e consenso sulle cure ed ai percorsi di riabilitazione, che in una fase avanzata possono consistere in approcci molto pesanti alla persona, finalizzati al tenerla in vita con ogni mezzo.
Elisabetta Lazzari