Daniela Dante

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Il mausoleo di Galla Placida e il DNA (Serpente cosmico) Jeremy Narby è un antropologo Canadese che ha vissuto svariati anni nella foresta amazzonica peruviana, studiando il popolo indigeno con l'intento di aiutare nella salvaguardia del loro ambiente ecologico. Non aveva ancora idea del casino nel quale si era messo. Nel 1998 esce il suo libro “Il serpente cosmico: il DNA e l'origine della conoscenza”. In esso spiega come gli sciamani nativi, ingerendo varie piante allucinogene, tra le quali l'ayahuasca, ottengono delle informazioni utili sulle proprietà chimiche di piante e animali. Informazioni oggettive, verificabili sperimentalmente. In altre parole le sostanze psicotrope sono come un microscopio che permette di vedere direttamente, in una specie di “telepatia” o visione mentale, dentro la struttura chimico-fisica del nostro ambiente. Il serpente che da titolo al libro sarebbe il DNA stesso, con la sua doppia elica, che dal bastone Ermes, giù fino alle pitture rupestri degli aborigeni, sembra essere stata una visione costante dei rituali a base di piante psicoattive (come i misteri Eleusini). Oggi sappiamo che circa l'ottanta per cento del materiale genetico è costituito da “junk DNA” ovvero da filamenti che non codificano un'informazione genetica utile per la generazione seguente. Si tratta piuttosto di “rumore di fondo” ed è stato paragonato per la sua struttura ad un cristallo liquido. L'ipotesi è che quindi abbia una funzione nella trasmissione e l'assimilazione di segnali, forse anche in relazione al resto del DNA, quello “codificante” (E il DNA tra l'altro assorbe ed emette fotoni – una luce oscura nell'acqua delle nostre cellule). Quello che Narby ci dice è quindi che dentro di noi abbiamo uno specchio (il DNA) – o meglio siamo uno specchio. La pianta psicotropa è solo un panno che pulisce tale specchio dalla patina della coscienza ordinaria, egoica, in modo da farlo comunicare direttamente con gli altri specchi. Questa risonanza: la conoscenza. Narby non è mai stato a Ravenna e non ha mai visto il mausoleo di Galla Placida. Questo edificio fuori scarno, di mattoni cotti nudi, ma dentro risplendente di mosaici d'oro e di lapislazzulo, di luce ultraterrena, bizantina. Il soffitto è di un blu che va oltre quello del cielo e del mare, è un blu eterno. In esso vorticano stelle-fiori di colori pulsanti e di oro metafisico. Sono forse il momento più alto dell'intelletto umano, queste stelle-fiori. Un istante in cui la natura pulsante, vicina, del vegetale tocca in un abbraccio impossibile la luce immateriale degli astri. Un po' come gli occhi sulle ali di alcune farfalle. Farfalla in greco è Psyche, anima. Galla Placida, l'imperatrice che secondo la leggenda dovrebbe essere sepolta nel mausoleo, ha forse immaginato di volare in quel cielo metafisico di bellezza abbacinante come Psyche, come farfalla. La biologia tradizionale ci dice che gli occhi sulle ali della farfalla sono un prodotto dell'evoluzione: i predatori sono spaventati da quello sguardo contraffatto. Ma se seguiamo Narby dobbiamo forse ammettere un'altra ipotesi: non si tratterà forse del tentativo dello specchio (DNA) di vedere sé stesso? Il serpente che si autoipnotizza, che si vuole osservare? Apuleio racconta che Psyche ha fatto scappare Amore perché ha cercato di vederlo. Cosa dire invece di noi che fissiamo gli occhi della farfalla, dell'anima? Ma poi quegli occhi sarebbero quindi fatti per l'uomo? Non siamo ingenui, direbbe Galla Placida.

Daniela Dante

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Non so se è merito degli anni, ma ho abbassato il volume di ciò che ascolto e alzato quello di ciò che provo. Mi emoziona la vista di un tramonto, un sorso di un buon caffè, di un vino generoso, della buona compagnia, una bella melodia, il calore di uno sguardo, il potere di un bacio. Non so se è merito degli anni, ma inizio a vedere la vita bella così com'è. Mujer Intuitiva

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