Una Storia veneta. L'avventura di Dino Boscarato

Founder Junior

10- Qui comincia l'Avventura. Dino apre la trattoria dall'Amelia.

2020-07-02 05:22:28

Dopo aver descritto le esperienze della montagna e quelle, successive nel tempo, dei Molini, dei ristoranti di Venezia e di Albarella, Dino torna al 1960 e racconta la storia di un gelataio mancato e la “nascita“ della trattoria dall'Amelia

«Con la mia esperienza di cucina di montagna, e la cucina di pesce limitata alle trote, all’arrivo a Mestre mi sono trovato abbastanza impacciato, anche se sotto sotto la fama dell’A­melia in quel periodo non era dovuta al pesce ma al pasticcio, alla pasta e fagioli, all’anatra ripiena, agli arrosti, alle tagliatelle al ragù fatto in casa.»

 

Ma torniamo ora indietro di qualche anno, per capire come e perché è nata l’Amelia.

Nella primavera del 1961 mi ero un po’ stancato di rimanere sempre a San Vito perché i periodi di lavoro erano troppo brevi, e c’erano troppi tempi morti.

Avevo voglia di muovermi. E, quindi, una delle cose che volevo fare da tempo, come molti cadorini, era quella di andare in Germania e aprire una gelateria. E c’ero anche andato in Germania, in primavera, per cercare un posto da gestire assieme a un mio amico, un certo Tommaso Menegus.

Volevamo tentare quell’avventura insieme. Mene­gus era il figlio del segretario del paese che era molto amico dell’onorevole Giuseppe Trabucchi, a quel tempo ministro delle finanze con Fanfani.

Avevo trovato il locale, veramente bello, e i fondi che servivano per acquistarlo ci erano stati garantiti in prestito dal ministro amico di Menegus. Sennonché nel frattempo, mentre stavamo trattando per un bellissimo posto nella Sonnenplatz di Monaco di Baviera, è caduta l’ipotesi del finanziamento e siamo “scivolati su una buccia di banana”: purtroppo, anche se dopo si è saputo che non era vero, era scoppiato il primo scandalo del governo italiano, detto appunto “delle banane”, in cui sembrava fosse coinvolto anche il ministro Trabucchi, il quale si è dimesso e non ci ha più potuto aiutare.

Visto con il senno di poi, se fossimo riusciti ad aprire là, nel cuore di Monaco, avremmo fatto davvero una fortuna.

Sfumata quell’occasione, sono tornato in Italia per vedere di combinare qui qualcosa di buono. Era il maggio del 1961, avevo trovato un’occasione, ma c’era sempre il problema del finanziamento. Anzi, mentre ero su in Germania a fine aprile, che stava nevicando da matti, ricordo che ho telefonato a casa, ho parlato con mia mamma, e lei mi ha detto di ritornare subito perché l’amico di casa, Umberto Spolaor, mi aveva trovato dei locali a Mestre, dove avrei potuto finalmente soddisfare la mia inquietudine e staccarmi da San Vito.

Ai primi di maggio sono sceso a vedere i locali, che erano due, ma uno nel frattempo era stato già affittato, e quello rimasto era l’Amelia. Siamo subito entrati in trattative e da quel momento mi sono buttato, ho fatto la stagione allo Chalet a San Vito e poi al primo di ottobre ho iniziato all’Amelia.

San Vigilio nel frattempo era stato venduto, anche perché il 1961 era stato l’anno delle bombe dei terroristi sudtirolesi che avevano minato i tralicci dell’alta tensione, e quindi la stagione estiva era saltata, addirittura noi avevamo tenuto chiuso l’albergo. E questo era stato un ulteriore incentivo per farmi scendere in laguna.

Certo che con la mia esperienza di cucina di montagna, e la cucina di pesce limitata alle trote, all’arrivo a Mestre mi sono trovato abbastanza impacciato, anche se sotto sotto l’Amelia in quel periodo aveva una sua fama dovuta non al pesce ma al pasticcio, alla pasta e fagioli, all’anatra ripiena, agli arrosti, alle tagliatelle al ragù fatto in casa. Tutte cose molto semplici, ma genuine, con il sapore casalingo. Poco il pesce: ogni tanto le sogliole, qualche branzino, qualche granseola, gamberetti, canoce, ma nulla di più particolare. Ricordo di quel periodo una sportina, che è andata persa, quella con cui andavo a prendere il pesce al mercato, alta quaranta centimetri e larga trenta, rotonda, e con quella comperavo tutto il pesce che serviva per un giorno o due.

Quando sono arrivato ho mantenuto il personale che si trovava già in ambiente. C’era la figlia della signora Amelia, che è rimasta per un periodo sufficiente a farmi prendere confidenza con il locale. Si lavorava quasi niente dal lunedì al venerdì, poi il sabato e la domenica c’era il pienone di gente, facevamo 100-200 coperti con le ganzeghe, cioè i pranzi che venivano organizzati per la fine dei lavori di costruzione delle case, e con i matrimoni; tutte feste estenuanti che cominciavano a mezzogiorno e finivano a mezzanotte.

A Mestre, allora, i ristoranti che andavano per la maggiore erano Il Gam­bero e Valeriano. In Riviera del Brenta c’era Il Burchiello. In questi locali, accompagnato da un amico macellaio, che poi è stato mio testimone di nozze, Emilio Hen, andavo a dare un’occhiata per imparare e per copiare qualche piatto. Oggi questo lo chiameremmo spionaggio industriale… Io mi giustificavo dicendo che era un po’ come andare a scuola. Devo dire la verità: quelle preparazioni, quei banchi di pesce che avevano loro mi lasciavano sbalordito e mi facevano anche un po’ paura. Come potevo confrontarmi con simili maestri?

Adesso non avrei nessun problema, ma allora ero in soggezione.

Però l’ho presa come una sfida, e non ho smesso di lavorare e di costruirmi una personalità. Quello che sono riuscito pian piano a imparare è stato molto, e non solo andando a cena dagli altri.

 

Un ricordo di Gaetano Facco

Lo storico maitre dell'Amelia, dopo il "sior Carlo" e prima di Daniele Nicoletti, che lo ha sostituito durante gli ultimi anni di gestione, è venuto a mancare nel marzo di quest'anno. Lo ricordiamo con questa foto, con grandissimo affetto.

Se l'Amelia ha lasciato nei cuori della gente tanti bei ricordi è merito anche di questi collaboratori che si sono legati in modo così stretto alle sorti della nostra famiglia.