Simona Peiretti

Top Founder Executive

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PERCHÈ PARLO DI UNICITÀ? Qualche giorno fa mi è capitato di sentire una frase che penso di aver ascoltato centinaia di volte, tra amici, parenti, colleghi, compagni... Al bancone di un bar due ragazzi parlano degli impegni della serata; si divertono nell'ipotizzare programmi, scherzano, ridono. Ad un certo punto uno dei due dice all'altro: "Sei più unico che raro". Ancora risate; è palese che la frase sia stata interpretata come un complimento. Lo è sembrato anche a me. Pensandoci bene, ogni volta in cui l'ho sentita mi è sempre suonata come un complimento. Del resto ci sta! A te non fa piacere sentirti dire che sei unico? "Unico" è un aggettivo che dà un senso di soddisfazione, di importanza; tanto per dirne una, se sei unico non sei "uno qualsiasi"... Ma c'è qualcosa che mi sembra strano: non ci vedo chiaro. Ho la netta sensazione che una frase del genere possa significare molto di più. Sul fatto che ogni persona sia unica credo che possiamo essere tutti d'accordo, in ogni caso quello su cui mi voglio soffermare non è il "sono fatto così e quindi mi devi accettare così come sono... in salute come in malattia, nella gioia come nel dolore, il lunedì come il giovedì, in primavera come in autunno, sul pedalò come in seggiovia..." eccetera eccetera eccetera... Quello che mi fa riflettere è che solitamente quando si pensa all'unicità di una persona si pensa, che ne so, alle impronte digitali! I più tecnologici forse ricordano la scansione della retina vista in qualche serie TV. Entrambe vere. Poi c'è anche quell'unicità che ci permette di essere come siamo in modo naturale, non artefatto. Quell'unicità che determina anche il modo in cui pensiamo, scherziamo, reagiamo ad una brutta notizia, riusciamo in qualcosa che ci piace, amiamo, mangiamo, ci arrabbiamo... In sostanza quell'unicità che non è collegata ad una caratteristica fisica, ma che è invece rappresentata dal nostro modo di essere. Quell'unicità che, quando rispettata, ci permette di vivere più felici e più leggeri. Se volessi trovare un termine più poetico probabilmente la definirei la nostra essenza. Questo è quello che ho pensato, al bancone del bar. E poi anche a un'altra cosa: perchè, spesso e volentieri, ci ricordiamo di essere unici solo quando sono gli altri a ricordarcelo?

Simona Peiretti

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PERCHÈ PARLO DI NUOVE IDEE? "Se si affronta un problema con il metodo razionale del pensiero, si ottengono risultati corretti ma limitati dalla rigidità dei modelli logici. Quando si richiede invece una soluzione veramente diversa e innovativa, si deve stravolgere il ragionamento, partire dal punto più lontano possibile, ribaltare i dati, mescolare le ipotesi, negare certe sicurezze e addirittura affidarsi ad associazioni di idee del tutto casuali. Si deve perciò abbandonare il pensiero verticale, cioè quello basato sulle soluzioni logiche, per entrare nella lateralità del pensiero creativo" (E. de Bono) In che modo questa teoria può essere utile nella nostra vita di tutti i giorni? Sviluppare il potenziale creativo è un modo per dar luce a nuove soluzioni, nuove strade e in generale per avere più alternative tra cui scegliere per poter rendere le nostre giornate più semplici e leggere, e per poter faticare meno anche nelle situazioni più impegnative. Una delle cose che più amo, in tutto questo, è che scegliere di essere più creativi significa anche prendere in considerazione la possibilità di fare le cose in un modo diverso, spezzando le "regole" che abbiamo spesso (o sempre) utilizzato quando ci siamo trovati in determinate situazioni. E, attenzione, cambiare il modo di fare le cose non significa cambiare chi siamo; significa semplicemente creare nuove strategie, per fare in modo di ottenere risultati diversi senza dover rinnegare la nostra unicità.

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PERCHÈ PARLO DI MOTIVAZIONE? Il concetto di motivazione è un altro di quei concetti che possono essere interpretati in davvero tanti modi, e molto spesso mi son sentita domandare se il mio lavoro sia, in buona sostanza, quello del motivatore. No, non faccio questo, non sono un motivatore. Non lo sono perchè non credo nelle motivazioni che arrivano dall'esterno. Credo nei motivi che ognuno di noi ha, dentro di sè, per fare quello che fa (o non fa). Se tu con il "motivare una persona" intendi esprimere in amicizia parole di conforto o di incoraggiamento, allora stiamo parlando di due cose diverse; per me questo può essere uno dei modi che fra amici si possono usare per cercare di dare sostegno o conforto, per dire ad un amico che noi crediamo in lui (resta il fatto che se il tuo amico non crede in se stesso non so quanto potrà cambiare la situazione...). Se invece intendi il fatto di dare ad una persona un motivo per fare qualcosa, per migliorare qualcosa, per cambiare qualcosa, per smettere di fare qualcosa... allora no, a questo non credo. Questo per me è molto simile al cercare di convincere qualcuno a fare qualcosa che in realtà non gli interessa fare. Il motivo che ci porta all'azione lo abbiamo, o non lo abbiamo, dentro di noi. Non possiamo farcelo prestare da qualcun'altro. E poi, come sempre, quello che potrebbe essere un buon motivo per me, non è detto che sia un buon motivo per te! Tutto ciò mi ricorda quello che penso dei consigli che, come dice un mio vecchio amico, servono come un pettine ad un calvo. Ma non divaghiamo... In che modo quindi, mi interesso di motivazione? Lo faccio nel capire perchè una persona, NONOSTANTE il motivo che la spinge, non riesca ad ottenere ciò che vorrebbe. E in sostanza non sono un dispensatore di motivazioni esterne perchè credo nei "click" che scattano dall'interno, come interruttori che possono essere attivati da noi e da noi soltanto.

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