Ilenia Di Lorenzo

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Ilenia Di Lorenzo

L’ARABA FENICE Prima di proseguire nella nostra esposizione notiamo che in greco il termine “Phoinix”, oltre ad essere il nome proprio dell’uccello del quale stiamo trattando, ha diversi altri significati: 1) la porpora e la stoffa dipinta di rosso porpora; 2) la regione principale luogo di produzione di tali stoffe e il popolo della Siria-Palestina che abitava tale regione; 3) la palma da datteri (e talora anche i frutti stessi); 4) uno strumento musicale a corde, chiamato anche “cetra punica”; 5) è il nome proprio di almeno due altri personaggi mitologici, tra i quali uno dei figli di Agenore, re di Tiro, e di Telefassa. Egli, come i suoi fratelli, era partito dal regno paterno alla ricerca della sorella Europa, che era stata rapita da Zeus, -il quale aveva assunto all’uopo le sembianze di candido toro-, e trasportata a Creta, dove divenne madre di Minosse. Nessuno dei fratelli riuscì a ritrovare Europa, ma tutti si stabilirono nei luoghi dove le loro ricerche li avevano condotti, fondandovi regni più o meno gloriosi, ai quali diedero talvolta il loro nome. Fenice dopo aver vagato lungamente, si insediò in quella parte della Palestina (1) che da lui prese il nome di Fenicia. In realtà però è molto più probabile che sia il personaggio mitologico ad aver tratto il nome da quello del territorio che i Greci avevano chiamato Fenicia, dal colore della porpora -e che peraltro era un calco del semitico “Kanaan” derivato a sua volta dall’accadico “Kinahhu”, che indicava a sua volta il colore rosso della porpora, ovvero del prodotto che era strettamente associato agli abitanti della regione che ne avevano fatto la loro principale attività economica (si veda al riguardo quanto abbiamo detto nella prima parte della trattazione sugli Hyksos)-. L’altro personaggio mitologico che portava il nome di Fenice è un figlio di Amintore, maestro di eloquenza ed esperto nell’arte militare, che fu uno degli educatori del giovane Eracle. Insieme ad Achille, che era stata anch’egli da lui ammaestrato, partecipò all’assedio di Troia. Si ritiene che i questo caso il nome alluda ad una caratteristica fisica, e cioè al colorito rossastro. Il significato fondamentale però al quale tutti gli altri sono in vario modo riconducibili è quello di rosso sangue, derivato dall’aggettivo “phoinòs”. Per quanto riguarda la palma, il passaggio semantico dovrebbe essere avvenuto partendo da ornamenti a forma di palma, in uso nel mondo greco fin dall’età micenea, eseguiti con fili di porpora o comunque con colorazione scarlatta, e che fu poi attribuito alle piante dalle quali tali decorazioni erano ispirate. Tuttora il nome scientifico della palma da datteri è “Phoenix dactylifera”, anche la palma ornamentale più diffusa nelle regioni mediterranee appartiene al genere “Phoenix” (“Phoenix canariensis”). Abbiamo visto tra l’altro che per Ovidio la Fenice costruisce il suo nido proprio sulla sommità di una palma ed è probabile che egli nell’omofonia del nome del volatile e di quello della pianta abbia visto una sorte di arcano e fatale legame sulla base del principio per cui “nomen est numen”. Anzi nel poemetto che abbiamo già citato di Lattanzio, -De Ave Phoenice-, che esamineremo in modo più approfondito nel seguito della nostra trattazione, si afferma espressamente (v. 71)  che la palma avrebbe preso il nome “Phoenix” proprio dall’uccello che alla sua sommità costruisce il proprio nido. Per inciso osserviamo che in una delle iscrizioni sull’obelisco egizio che si trova attualmente in piazza del Popolo a Roma, uno dei due che furono fatti trasportare nell’Urbe da Augusto nel 10 d. C., -l’altro è quello che si trova ora nella Piazza di Montecitorio-, proprio dalla sacra città di Eliopoli, dove era stato eretto da Ramses II, si trova citato il tempio di Bennu (o di Bojnew) che l’erudito egiziano Ermapione tradusse in greco come “Tempio della Fenice” (“naos tou Phoinikos”), -secondo quanto è riportato dallo storico del IV secolo Ammiano Marcellino ( Rerum Gestarum libri, XVII, 4)-. E’ ben strano che il famoso archeologo ed ellenista Antonio Nibby (1792-1839)

Ilenia Di Lorenzo

Polpette di vitello al vino bianco 😍😋 buona serata ha tutti Ingredienti Polpa di vitello 500 g Uova 2 Cipolla 1 Prezzemolo 1⁄2 mazzetto Curry 1 punta di coltello Sale q.b. Brodo di dado 1⁄2 l PER LA SALSA Margarina 1 cucchiaio Cipolla 1 Cetriolini sott'aceto 2 Peperone 1 Capperi 75 g Fecola 2 cucchiai Vino bianco 1 bicchiere Panna 1 bicchiere Prezzemolo qualche ciuffo Preparazione Passate la polpa di vitello 2 volte al tritacarne oppure riducetela in purè nel frullatore.Ponete il passato in una terrina e impastatelo con le uova. Sbucciate la cipolla e tritatela finemente con il prezzemolo, poi uniteli alla carne tritata, salate il tutto e aromatizzatelo con curry. Intanto preparate la salsa: fate fondere la margarina in una pentola e unitevi la cipolla tritata lasciandola dorare per 3 minuti, scolate i cetriolini dal liquido di conserva, tritateli e aggiungeteli alla cipolla. Aprite a metà il peperone, liberatelo dei semi, lavatelo, asciugatelo e tagliatelo a dadini che aggiungerete, insieme ai capperi, alla cipolla e ai cetrioli lasciando poi insaporire il tutto per 5 minuti. Togliete le polpettine dal brodo con una schiumarola, disponetele su un piatto, tenendole al caldo. Versate il brodo sulla verdura e fate cuocere ancora per 5 minuti a fuoco lento. Stemperate in tazza fecola e vino ed incorporatela alla salsa mescolando per evitare la formazione di grumi, lasciando cuocere. Togliete il recipiente dal fuoco, unite alla salsa la panna e insaporitela ancora se necessario. Immergete ora nella salsa le polpette di vitello, versate il tutto in una terrina ben calda, spargetevi sopra il prezzemolo e servite

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