Riflessioni per Nutrire l'Anima

Spiritualità & Filosofia

Riflessioni per nutrire l’anima: il richiamo della terra natale

2019-08-18 16:05:21

Sono convinto che ciascuno di noi ha nel cuore il ricordo dei luoghi della propria infanzia come una dimensione che, in molti casi, rappresenta una base sicura dalla quale è partito il nostro cammino.

Provengo da una famiglia di minatori. Mio bisnonno, che si chiamava come me Antonio, era partito da Gosaldo, in provincia di Belluno, per imbarcarsi assieme a tante persone per l’America in cerca di fortuna.

Erano i primi anni del 1900, la nostra famiglia era povera e la terra di montagna offriva solo patate, polenta e formaggio. 

Dalla Pennsylvania tornò come era partito, senza aver fatto fortuna, ma con il grande desiderio di vedere i propri figli e la terra natale.


Mio nonno, per riscattare la famiglia, dopo la morte prematura di sua mamma, con l’aiuto di sua nonna, decise di impegnarsi negli studi e frequentò l’Istituto Minerario di Agordo.

Partiva molto presto  con la lanterna da Gosaldo e, attraverso viottoli, arrivava a piedi ad Agordo per assistere alle lezioni poi, alla sera, ripercorreva a ritroso lo stesso tragitto e questo in ogni stagione e con ogni tempo.

Si diplomò a pieni voti.


All’epoca chi  si distingueva per merito nelle scuole professionali veniva considerato e assunto nelle fabbriche e fu così che mio nonno Bepo fu preso dalle Miniere di Agordo sotto la direzione del Cav.Emilio Tazzer. 

Parco delle Dolomiti bellunesi, Miniere della Valle Imperina

fonte immagine: http://www.dolomitipark.it/it/cen_dettaglio.php?id=398


Fu l’inizio di una carriera importante fatta di sacrificio e dedizione che portò il mio avo a diventare uno dei direttori dello Stabilimento della Montevecchio-Montecatini.


Con i primi risparmi, nella migliore tradizione montanara, il nonno Bepo nel 1948 decise di costruirsi ad Agordo, vicino a Gosaldo, la sua  casa fatta di cemento grezzo e sassi del fiume Cordevole.

Si tratta di una casa grande sviluppata su tre piani con un ampio giardino.

Mio nonno voleva con la casa tenere unita tutta la famiglia e dare continuazione alla “Casata Masoch”.

Ogni piano è contraddistinto da ampie finestre basse che, nell'intendimento del costruttore, devono permettere di vedere il paesaggio montano antistante comodamente seduti su una poltrona e infatti in questa casa non mancano poltrone di ogni genere e forma.

Il paesaggio di fronte è incantato: in primo piano il Monte Framont, al centro in fondo si scorge la Marmolada e il gruppo della Civetta, a destra il gruppo della Moiazza e a sinistra le Pale di San Lucano e l’Agner.

Dicono che quando l’Agner  “ha la bareta” (ha il cappello, il berretto) prima o poi “c’è la peta” cioè arriva la pioggia.

Ogni volta che ci penso, il mio cuore si riempie di nostalgia e la voglia di “andare ad Agordo” si fa pressante come quando sei pieno di sete e hai bisogno di bere e sai esattamente dove attingere l’acqua!

In testa al giardino mio nonno piantò un melo che visse fino al giorno della sua morte...

Ricordo infatti che quando passammo con il carro funebre, simbolicamente davanti alla casa, il giorno del suo funerale, il melo crollò davanti ai nostri occhi.

Questo fatto mi toccò profondamente e insediò in me la convinzione che esiste un legame forte tra la terra natale e l’uomo, una sorta di simbiosi.


In quel giardino ho mosso i miei primi passi.

Mio padre mi insegnò ad andare in bicicletta e all'ombra dei pini ascoltavo “a bocca aperta” i racconti che mia madre, insegnante, soleva snocciolare tra un bicchiere di limonata e un panino di marmellata.

Ricordo che quando venivano a tagliare l’erba e facevano i “covoni” cioè piccole montagnole di fieno da seccare, io e i miei fratelli ci divertivamo a fare “le fortificazioni” per giocare ai soldati nella Grande Guerra.

Quando veniva rimosso il fieno, allora iniziavano le mitiche partite a calcio e il giardino si riempiva di tutti i bambini del circondario.

Era una festa senza precedenti.


Mio nonno troneggiava seduto sulla porta di casa e da dietro il giornale faceva capolino per controllare cosa si faceva.

Ricordo i suoi rimproveri quando si giocava con il fieno perché diceva che era frutto di sacrificio e doveva essere maneggiato con cura perché destinato all'alimentazione delle vacche da latte.

Al mattino presto, quando mi alzavo e andavo a studiare in cucina, mentre mia madre era intenta a stirare, veniva una signora a portare le uova fresche e il latte appena munto.

Da quel latte “magicamente” mia madre faceva dei dolci alti che erano la fine del mondo.

Oggi, a distanza di anni, quando entro nella vecchia casa di mio nonno, dove tutto è fermo come un tempo lontano, mi pervade un grande senso di pace e di tranquillità: “mi sento a casa”. 


Un caro saluto a tutti. Antonio

by Antonio Masoch