VegChef diVerso

Parole e poesia per la cucina

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Parole e poesia per la cucina

La dimensione relazionale del cibo

2020-05-05 14:52:16

“L'uomo è ciò che mangia?“ (Ludwig Feuerbach). Non direi. L'uomo è piuttosto colui il quale digerisce! Cosa intendo per cucina relazionale e perché, secondo me, il cibo è prima di tutto fatto di relazione, piuttosto che di nutrienti. Ecco alcune considerazioni in questo articolo.

Dalla terra nacquero le erbe, dalle erbe del cibo, dal cibo il seme, dal seme l'uomo.

L'uomo è dunque l'essenza del cibo.

Dal cibo sono prodotte tutte le creature, con il cibo esse crescono.

Il sé consiste di cibo, di respiro, di anima, di comprensione, di beatitudine.

(Taittiriya Upanishad, 2.1.2)

In genere, quando parliamo di cucina e di trasformazione degli alimenti, mettiamo in evidenza le trasformazioni chimiche e fisiche che le sostanze e gli ingredienti subiscono e, dal punto di vista alimentare, le componenti nutrizionali: carboidrati, lipidi, proteine e micronutrienti.

Questo è certamente un aspetto fondamentale da considerare, ma non credo sia l’unico. Il cibo è infatti il veicolo della nostra relazione con il mondo.

Attraverso il cibo, che è mondo organico “per noi”, costruiamo il mondo organico “in noi”.

Grazie al cibo entriamo nella vita e alimentiamo vita.

Quello che nel mondo secolarizzato è spesso messo sotto traccia, ma che le antiche scuole e i testi sacri mettono in chiara evidenza, è che il cibo ci mette in relazione, in “comunione”.

Attraverso il cibo e la sua trasformazione, che divide il mondo dell’uomo da quello animale (l'uomo "cucina", l'animale non lo fa, di norma...), noi agiamo e segniamo la nostra presenza.

Sul concetto di UOMO e AZIONE ho già scritto qui, approfondiremo certamente!!

Ora vorrei invece mettere in evidenza l'aspetto della 

Relazione

Reputo infatti che l’alimentazione sia sostanzialmente un fatto relazionale.

Quando ci nutriamo, assumiamo un cibo che era vita e lo trasformiamo nella nostra vita. Trovate qui una spiegazione del processo che avviene nel fisico.

Pensate questo, e non date per scontato:

IL NOSTRO NOI SCOMPONE I NUTRIENTI, LA VITA CHE ASSUME PER VIVERE, E LI RICOSTRUISCE NEL NOSTRO CORPO FISICO. NON PRENDE I NUTRIENTI COSI' COME SONO MA, IN QUALCHE MANIERA, LI USA COME "ESEMPIO" PER LA RICOSTRUZIONE DEI SUOI.

Ludwig Feurbach, tedesco, tra i padri del pensiero materialista, è noto per questa frase: "L'uomo è cià che mangia" (mann ist was man isst), nella quale certamente ha voluto giocare con l'assonanza in tedesco tra ist, essere (dal verbo sein) e isst, mangiare (dal verbo essen).

Io non credo sia vero, affatto.

Se questa relazione fosse, per così dire, diretta e strettamente materialistica, se noi integrassimo direttamente i nutrienti che ingeriamo, noi assumeremmo il cibo e "diventeremmo" il cibo.

Se mangiassimo per assurdo solamente carote, nella nostra vita, secondo un pensiero diretto e semplice dovremmo diventare... 

una grande carota!

Credo quindi che il focus vada messo quindi su 

quel che digeriamo e come digeriamo

Piuttosto che su quel che mangiamo...

Per cui, se proprio vogliamo parafrasare Feurbach, piuttosto,

L'uomo è colui il quale digerisce

Cioè la sua specificità è basata sulla dimensione della relazione, sul "confine" tra il dentro e il fuori, tra quello che ingeriamo e quello che poi diventa IO, in noi.

Il sistema della digestione raccoglie i nutrienti e, attraverso gli enzimi digestivi, li scompone e li ricostruisce.

E' ciò che mangiamo ma come lo vogliamo noi, la NOSTRA vita.

Coinvolgendo il sistema digestivo, espressione dela nostro essere fisico ma anche di tutta la complessità vitale: corpo, anima, Spirito.

Quello che ci sembra ovvio, per una evidenza che diamo per scontata, mette in rilievo il fatto che quello che costruisce l'uomo nel fisico non è un meccanismo meccanicistico di causa-effetto ma è un SISTEMA COMPLESSO: il sistema del vivente.

Che raccoglie dalla natura vita organica, la distrugge e forma nuova vita, nel tempo che scorre incessantemente.

Tutto questo è, inconsciamente o meno, relazione.

Lo è nel nostro corpo e nel fisico, in qualche misura, così come lo è, ad evidenza di tutti, nell'anima

Se noi funzionassimo anche nell'anima secondo un sistema di causa-effetto, come troppo spesso ci viene suggerito direttamente e indirettamente (funzionassimo come una grande ed articolata palla da biliardo, per dire) non potremmo rispondere in modo così vario allo sollecitazioni e diventare, in risposta agli stimoli esterni, un Santo come Francesco d'Assisi oppure Adolf Hitler.

Lì non è la palla da biliardo a fungere da metafora.

Siamo noi a fare la differenza, noi e la nostra responsabilità (che significa letteralmente: capacità di rispondere [adeguatamente o meno]).

Quindi la relazione con l'esterno è uno stimolo per NOI.

E noi rispondiamo, in mille modi possibili.

Il cibo, mangiare, è uno stimolo esterno, è la relazione per eccellenza.

Mondo esterno-mondo interno si fondono nell'alimentazione.

Cucinare, trasformare il cibo, è una forma di comunicazione e relazione.

Relazione quindi, osservabile almeno da tre punti di vista:

Relazione tra noi e gli ingredienti, che possiamo esplorare, conoscere, apprezzare, distinguere nella loro intima essenza, quasi facendoci suggerire da essi stessi come possono essere valorizzati, prendendosene cura.

Relazione con la nostra comunità di uomini, perché attraverso il cibo e la sua trasformazione comunichiamo, riconosciamo umanità, ci esprimiamo.

Relazione infine con noi stessi: la risposta che abbiamo di fronte a un gesto di preparazione, di fronte a un ingrediente o a un piatto, al desiderio di un gusto piuttosto che di un altro, che sia salato, dolce, agro, saporito o delicato, è una voce che dice qualcosa di noi stessi a noi stessi.

(e anche si questi sottogruppi avremo modo di parlare ancora...)

Non si tratta ovviamente di trascurare la dimensione materiale del cibo!

Ma, per trovarne la verità per noi, il senso intimo della nostra relazione con il cibo e la sua trasformazione, fondarsi sulla sua intima poesia: perché la scienza materialistica vede quello che è visibile.

Ma l’essenziale, come diceva il “Piccolo Principe” di Antoine de Saint Exupery, è invisibile agli occhi.

Per vedere veramente, ci serve il cuore.

 

Grazie del Gusto

VegChef diVerso