VegChef diVerso

Parole e poesia per la cucina

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Parole e poesia per la cucina

Francesco d'Assisi, Guido Gozzano e la misura dolce. Con cioccolato e nocciole.

2020-04-02 21:14:04

A mangiare dolce, si fa peccato? Troverete le risposte in questo articolo e inoltre: un Santo ✝ (con biscotti). Un poeta torinese👨🏽‍🎓 e le sue signore, che mangiano le paste, nelle confetterie. Una ricetta di torta 🥮 al cioccolato e crema nocciole in video. Che ne dite, eh? Dovrebbe bastare! 😀

Il dolce è spesso sinonimo di peccato.

Ma di colpa lieve, quella alla quale si può indurre senza cadere “ne li peccata mortali”. Se non si esagera, eh!


Anche San Francesco, del resto, acconsente tale indulgenza!


📖Vi narro una storia.📖


Francesco d’Assisi, al secolo Giovanni di Pietro di Bernardone, compiuti ormai più di 45 anni in vita vissuta intensamente e con grande fervore, sente approssimarsi la morte. E’ l’anno 1226.


Il Santo ha intorno a sé, nella piccola cappella della Porziuncola, fratello Elia ed i compagni più prossimi.


Ma in quei giorni di saluto al mondo non si scorda di una sua devota, Jacopa dei Settesoli, di nobili origini: colei la quale, lei sola assieme a Chiara, "aveva meritato il privilegio di uno speciale amore da parte del Santo ". Come scrisse Tomaso da Celano, biografo del Santo poverello.


Francesco sente che sono gli ultimi giorni per lui prima dell'incontro con "sora nostra morte corporale" e chiede che si possa scrivere una lettera alla sua devota, così dettando:


“A donna Jacopa, serva dell’Altissimo, frate Francesco, poverello di Cristo, augura salute nel Signore e comunione nello Spirito Santo. Sappi, carissima, che il Signore benedetto mi ha fatto la grazia di rivelarmi che è ormai prossima la fine della mia vita. Perciò, se vuoi trovarmi ancora vivo, appena ricevuta questa lettera, affrettati a venire a Santa Maria degli Angeli. Poiché se giungerai più tardi di sabato, non mi potrai vedere vivo. E porta con te un panno di colore cenerino per avvolgere il mio corpo e i ceri per la sepoltura. Ti prego anche di portarmi quei dolci, che tu eri solita darmi quando mi trovavo malato a Roma”.


Insomma, anche in punto di morte, ormai vicino all'abbraccio con l'Altissimo, il buon Francesco non si dimentica della sua profonda umanità, e chiede a donna Jacopa (che, fatalità, era per evidente disegno divino proprio in quel momento in arrivo per l'ultimo saluto ) di poter avere in dono dei dolci.


Dolci!

Che risultano essere, nel caso specifico, i “mostaccioli”, a quel tempo preparati con mosto d’uva.


 (non certo con zucchero raffinato, che non esisteva proprio. Lo zucchero di canna era molto raro, e o zucchero si diffuse a partire dal 1800, ai tempi delle guerre napolenoniche!!).


Ma allora, come funziona? Se anche frate Francesco, colmo di Santità e di Spirito, volle concedere questo momento di libertà ai propri sensi, addirittura in punto di morte, cerchiamo di capire: la gola, la ricerca del piacere del cibo, è "peccato", oppure no?

Dipende, direi!


Perché la vita si esprime anche nel godimento, nel piacere dei sensi! Di cui è opportuno cogliere il senso profondo. Il senso della relazione. Non avrebbe scritto, il buon Francesco, il "Cantico delle Creature" (del mondo sensibile).

Trovando in noi la misura giusta, cogliendo quello che è BUONA RELAZIONE con le cose da quello che è eccesso, che è ex-cedere, ovvero… perdere! ...Cedere al di fuori di noi!

Prendere, senza eccesso, e quindi DARE. Dare la nostra presenza. Dare la nostra capacità sensibile di accorgerci delle cose del mondo. Cogliere il buono di quello che ci viene offerto.

E come la preghiera. Non si prega per ricevere, ma per dare la nostra attenzione a ciò che ci sovrasta. E questo è buono per noi.

Nell’apprezzare le cose del mondo abbiamo tutto da guadagnare!



Mi è venuta in mente la considerazione sopra riferita quando l'altrogiorno, annunciando la realizzazione del video della ricetta di torta vegan al cioccolato (che vedete a seguire) sulla nostra pagina, un conoscente di facebook mi ha scritto tra i commenti “Vegan ve la mangiate voi…”


Mi è venuto da ridere... vuoi vedere che adesso diventa una colpa anche mangiare vegan! Ma perché mai uno deve pensare che mangiare qualcosa che comunque è buono diventa "una colpa"*? 😅


Certo, per ragioni etiche si può pensare che mangiare animali possa essere"una colpa". Io su questo non discuto, come si sarà forse capito, perché ciascuno è misura a se stesso e da sempre si sono mangiati cibi animali. Se incontriamo un coccodrillo lui ci mangia a noi. Ma noi possiamo decidere e ciascuno decide per se stesso.

Dicevo invece: l'idea che mangiare qualcosa di vegan, in questo caso, anche se è buona, sia da mettere all'indice solo perché "è vegan" e uno "con quelle cose lì non vuole avere a che fare". 


Dopo avergli proposto lo studio di una ricetta a base di cioccolato e musetto (insaccato di maiale che si usa in Veneto nel periodo invernale, per chi non lo conosce), che fosse possibilmente altrettanto buona


Non va tanto distante dal vero, in realtà! Da piccolo mia nonna, livornese, mi fece assaggiare il sanguinaccio, a base di sangue di maiale e cioccolato! Della serie: i nostri antenati, per contrastare la fame e la povertà (e dico io anche per riconoscere il valore di quel che consumavano e in quel caso uccidevano), si inventavano di tutto e non buttavano via niente!


mi son detto:


“Ma perché mai uno deve mangiare in base alle proprie convinzioni e non con la propria sensibilità, il proprio gusto?”


Insomma, la vita è un dono (o noi siamo un dono alla vita, ma questo è un altro discorso). Cerchiamo allora di starci, di esserci. Di relazionarci ad essa. Non di cortocircuitarci tra noi e i nostri pensieri.

Questo anche è eccedere, Ex-cedere, andare al di fuori e perdere. Perdere la nostra possibilità di relazione. Con il mondo e quindi con noi stessi

Conoscendo il mondo, anche attraverso il gusto, conosciamo noi stessi.

Come Francesco d’Assisi.


O come Guido Gozzano.




Il poeta torinese, esponente del movimento dei crepuscolari, è noto oltre che per i suoi versi di suono e genialità, anche per una vita dai tratti decadenti, incline al godimento, alla ricerca delle “buone cose di pessimo gusto".

Morì a 32 anni di “mal sottile”, di tubercolosi polmonare.


Sembra, così descritto, quanto di più distante si possa immaginare rispetto a Francesco d’Assisi.


Abbiamo nel primo caso infatti un uomo che si dona a ciò che è essenziale, nel secondo caso un uomo che valorizza il superfluo, ciò che vola e scompare, le "rose non colte".


Ma a mio modo di vedere, entrambi si donano a qualcosa di autentico, a una vita realmente vissuta secondo il proprio principio e le proprie scelte, senza paura del futuro. Entrambi si donano alla propria autenticità, e si mettono in relazione con il mondo privi di infingimenti. Questo è un tratto comune, che mi sembra di poter mettere in evidenza.


Voglio a tale proposito citare un verso da un’altra poesia di Gozzano, "Il rimorso":


“Avevo un cattivo sorriso / eppure non sono cattivo /non sono cattivo, se qui / mi piange nel cuore disfatto / la voce “Che male t’ho fatto, / o Guido, per farmi così?”.


Qui il poeta, che racconta di una “attricetta”, come lui la definisce, invaghita di lui che lui sembra aver voluto (dal racconto poetico) considerare con disprezzo, si trova di fronte a se stesso. Alla sua dissoluta “cattiveria” e al rimorso di questa.


E’ chiaro, Frate Francesco aveva risolto da tempo questo conflitto interiore, quello che ci pone di fronte ai nostri atti per dominarli in volontà con saggezza, amore e coraggio. Ma primariamente serve l’onestà di riconoscerli!


Gozzano è onesto e autentico. Si ascolta, si legge, parla. E le sue parole sono specchio limpido del suo sentire. Sono espressione di una relazione vera,  autentica, reale.


Non esclusivamente uno sterile soliloquio tra sé e il proprio racconto di sé, ma un mettere “in piazza”, un mettersi a disposizione. Un donarsi a quel che si è, non che si vorrebbe essere. Così come Francesco.


E come Francesco, racconta un ricordo di un dolce. Nel caso di Gozzano attraverso delle signore, le golose, che mangiano i dolciumi nelle confetterie.


Anche qui, cari amici, come possiamo condannare le civettuole signore della Belle Epoque torinese che si deliziano di dolci e cioccolatte, di fronte alla grazia maliziosa del poeta? Per quanto si sia molto lontani dallo spessore e dall'intensità del poverello di Assisi, anche qui troviamo una scena di vita vissuta, un racconto di uomini e donne, narrato con grazia e i tratti della bellezza, per quanto un po' decadente. Ma ciascuno è specchio di sé e del proprio tempo!

Va bene così, no?


Che percorso lungo e articolato ho preso per mettere in relazione il buon Francesco, Gozzano e il cioccolato!!


Insomma, ci ho provato. Ho voluto condividere quel che avevo nell’animo, divertendomi, cercando il dolce in qualche passaggio letterario, e abbinandoci delle riflessioni, come sempre.


La vita è godimento e di-vertimento (ovvero uscire dal consueto binario, prendendo direzioni di-verse). Senza ex-cedere, senza uscire fuori da quel che siamo, percepiamo, amiamo, veramente vogliamo, senza indulgere in comportamenti che vanno al di là, verso il possesso e l'ingordigia, possiamo goderla appieno e viverla con gioia.

Questo è buono per noi e per il mondo.


Insomma: Gozzano sì, ingozzarsi no!!


E questa volta più che mai

Grazie del Gusto

Vegchef diVerso


PS

Ora vi saluto con la poesia di Gozzano, Paolo Poli che la legge e... il video con la ricetta della torta vegan di cioccolato e crema di nocciole!!



Le golose


Io sono innamorato di tutte le signore

che mangiano le paste nelle confetterie.

Signore e signorine -

le dita senza guanto -

scelgon la pasta. Quanto

ritornano bambine!

Perché nïun le veda,

volgon le spalle, in fretta,

sollevan la veletta,

divorano la preda.

C'è quella che s'informa

pensosa della scelta;

quella che toglie svelta,

né cura tinta e forma.

L'una, pur mentre inghiotte,

già pensa al dopo, al poi;

e domina i vassoi

con le pupille ghiotte.

Un'altra - il dolce crebbe -

muove le disperate

bianchissime al giulebbe

dita confetturate!

Un'altra, con bell'arte,

sugge la punta estrema:

invano! Ché la crema

esce dall'altra parte!

L'una, senz'abbadare

a giovine che adocchi,

divora in pace. Gli occhi

altra solleva, e pare

sugga, in supremo annunzio,

non crema e cioccolatte,

ma superliquefatte

parole del D'Annunzio.

Fra questi aromi acuti,

strani, commisti troppo

di cedro, di sciroppo,

di creme, di velluti,

di essenze parigine,

di mammole, di chiome:

oh! Le signore come

ritornano bambine!

Perché non m'è concesso -

o legge inopportuna! -

il farmivi da presso,

baciarvi ad una ad una,

o belle bocche intatte

di giovani signore,

baciarvi nel sapore

di crema e cioccolatte?

Io sono innamorato di tutte le signore

che mangiano le paste nelle confetterie.

Guido Gozzano