♦ Sergio Omassi ♦

Life Coach e Formatore

Quando non si può tornare indietro...

2019-04-01 18:15:23

Vediamo insieme cosa si cela nella trappola del rimpianto, dell'avrei dovuto...

La trappola mentale della reversione.

A volte accadono cose che ci fanno rendere conto di aver perso, di aver fallito nei nostri progetti, nei nostri piani. Valutiamo tutte le opzioni possibili, tutte le strategie attuabili e ci rendiamo conto che nessuna è ormai utile a risolvere la questione: il gioco è finito ed abbiamo irrimediabilmente perso la partita. 


A questo punto, chi è dotato di intelligenza emotiva, chi sa gestire le proprie emozioni in maniera adulta, prende atto del fallimento, digerisce la lezione e si programma per voltare pagina, per andare avanti. Purtroppo esistono persone che, invece, entrano nella trappola della reversione.


Di questa trappola della mente ne parla in maniera esaustiva il Prof. André Kukla in un suo testo del 2008. Il mio obiettivo per questo articolo è offrirti una pillola riassuntiva, nel caso tu non voglia o non abbia il tempo di leggerlo. Sono convinto, infatti, che già solo riconoscere di essere intrappolati mentalmente offra la grande possibilità di provare ad aprire la gabbia.

La reversione è il disturbo dell'avrei dovuto.

Il Vocabolario Treccani, sotto la voce "Rimpianto" si esprime così: Ricordo nostalgico e dolente di persone o cose perdute, o di occasioni mancate.


È normale, nei momenti di lucida consapevolezza sui propri errori, dirsi avrei dovuto: fa parte della crescita che ogni fallimento ci offre, è il primo passo concreto verso l'apprendere una lezione e farne tesoro per il futuro, se mai si dovessero ripresentare circostanze simili. 


Colui che non si sussurra avrei dovuto probabilmente è un tipo eteroattributivo e tende a dirsi avrebbe/avrebbero dovuto, cercando di evitare il senso di colpa e aprendo le porte del rancore, al risentimento verso gli altri, attribuendo la responsabilità del suo fallimento a cause esterne, col grave rischio, un domani, di ripetere la modalità disfunzionale personale. 


In tutti i casi, sia che la colpa ce la sentiamo addosso come un mantello, sia che non vogliamo riconoscerla, sia che effettivamente appartenga ad altri... ciò che è stato è stato.


Rimanere in questo status di ragionamenti e arrovellamenti su un passato che non può mutare è come guidare l'automobile guardando solo nello specchietto retrovisore. Possiamo ritornare per sempre sui nostri errori o sui vecchi torti subiti e, tuttavia, il passato resterà il medesimo. Possiamo restare settimane, mesi o, ancor peggio, anni, a dirci se solo fossi stata/o più..., se solo fossi stata/o meno..., comportandoci come se l'ostacolo che si contrappone alla nostra gratificazione sia ancora davanti a noi, invece che alle nostre spalle, come se fosse possibile disintegrarlo, alla fine, grazie alla nostra costanza e alle nostre pressioni.

Ricordo una cosa molto buffa che mi riguarda. Quando ero bambino ma, devo ammetterlo, la cosa si protrasse a lungo e ancora oggi mi dà degli strascichi, spesso riguardavo un film aspettandomi un finale diverso, oppure una scena differente. 


Avevo undici anni quando vidi per la prima volta il film Il cacciatore di Michael Cimino e rimasi afflitto per giorni a causa della morte di Nick (interpretato da un impagabile Christopher Walken), che si spara un colpo alla tempia durante una sessione di roulette russa. Rividi questo film più volte negli anni successivi e, all'arrivo di questa scena, mi sorprendevo sempre a pensare "dai che stavolta Nick non muore".


Chi si trova nella trappola della reversione, in un certo senso, la ragiona così: pensa che la sola forza dei suoi pensieri possa cambiare ciò che è immutabile, e dedica a questa pratica inutile ore di vita e enormi dosi di energia.


Lavorare con la fantasia, rivedersi, ad esempio, il più figo delle superiori quando nella realtà eri un timido patologico sempre in disparte, può essere un esercizio molto divertente, ma è una questione molto diversa dal lottare senza speranza con lo scopo di essere stato davvero il più figo in quegli anni. La prima azione può farti sorridere, la seconda immancabilmente ti rattrista.


Concludo con un pensiero splendido di un autore che ho amato sin dalla prima lettura:


Amico mio, non essere come quello che siede presso il suo camino
e guarda il fuoco che si spegne per poi soffiare, vanamente, sulle morte ceneri.
Non rinunciare alla speranza,
non abbandonarti alla disperazione a causa di ciò che è passato,
giacché rimpiangere l'irrecuperabile è la peggiore delle umane debolezze.

(Khalil Gibran)