Sandro Muller

Top Founder Executive

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Initial Coin Offering e normativa italiana Premesso che, anche per la natura del presente scritto, non si potrà esaminare nel dettaglio la specifica disciplina applicabile a ciascuna ICO, che d’altronde andrebbe esaminata individualmente, è possibile tentare una ricostruzione della disciplina italiana attualmente applicabile sulla base della tipologia dei diritti che l’acquisto del token assicura al suo titolare. Token di classe 1: come sopra precisato tale tipologia non conferisce diritti nei confronti di alcuno ed è dotato delle caratteristiche tipiche della valuta virtuale. In tali ipotesi, al fine di una prima definizione e regolamentazione, è possibile riferirsi alla recente modifica della disciplina cd. antiriciclaggio, ossia al D.l.vo 25/5/2017, n. 90 che ha modificato il D.L.vo n. 231/2007, inserendo alla  lettera qq) del primo comma dell’art. 1 la  definizione di “valuta virtuale”, quale “la rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”. La definizione è utilizzata nel decreto legislativo in esame al fine di dichiarare applicabili le norme in esso previste ai “prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale, limitatamente allo lsvolgimento dell’attività di conversione di valute  virtuali da ovvero in valute aventi corso forzoso”. In sostanza, nel momento in cui un soggetto (tipicamente un exchange) opera in Italia, deve iscriversi nell’elenco dei cambia valute (art. 17 bis, comma 8 bis del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141) e deve applicare quanto previsto dalla disciplina cd. antiriciclaggio sia relativamente agli obblighi di adeguata verifica della clientela sia alla segnalazione delle operazioni sospette. Ad oggi, quindi, la realizzazione di una ICO su token (coin) di classe 1 richiede che la vendita del token avvenga in Italia tramite soggetti autorizzati alle attività di cambio valuta i quali provvedano all’adempimento degli obblighi previsti dalla citata disciplina cd. antiriciclaggio. Initial Coin Offering e normativa italiana Premesso che, anche per la natura del presente scritto, non si potrà esaminare nel dettaglio la specifica disciplina applicabile a ciascuna ICO, che d’altronde andrebbe esaminata individualmente, è possibile tentare una ricostruzione della disciplina italiana attualmente applicabile sulla base della tipologia dei diritti che l’acquisto del token assicura al suo titolare. Token di classe 1: come sopra precisato tale tipologia non conferisce diritti nei confronti di alcuno ed è dotato delle caratteristiche tipiche della valuta virtuale. In tali ipotesi, al fine di una prima definizione e regolamentazione, è possibile riferirsi alla recente modifica della disciplina cd. antiriciclaggio, ossia al D.l.vo 25/5/2017, n. 90 che ha modificato il D.L.vo n. 231/2007, inserendo alla lettera qq) del primo comma dell’art. 1 la definizione di “valuta virtuale”, quale “la rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”. La definizione è utilizzata nel decreto legislativo in esame al fine di dichiarare applicabili le norme in esso previste ai “prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale, limitatamente allo svolgimento dell’attività di conversione di valute virtuali da ovvero in valute aventi corso forzoso”. In sostanza, nel momento in cui un soggetto (tipicamente un exchange) opera in Italia, deve iscriversi nell’elenco dei cambia valute (art. 17 bis, comma 8 bis del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141) e deve applicare quanto previsto dalla disciplina cd. antiriciclaggio sia relativamente agli obblighi di adeguata verifica della clientela sia alla segnalazione delle operazioni sospe

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Disciplina delle ICO e funzione dei token Alla luce dei provvedimenti sopra richiamati delle autorità nazionali di controllo appare necessario, al fine di poter ricostruire la disciplina delle Initial Coin Offering, comprendere l’aspettativa che i finanziatori hanno nell’acquistare i token offerti in vendita. In particolare, l’esame riguarda i diritti che il token incorpora, diritti che sono dipendenti dal progetto e dal modello di business che l’impresa propone. La disamina deve necessariamente astrarre e definire alcuni concetti utili per poter individuare la natura dei token associati ad una ICO (1). Preliminarmente è necessario precisare che un token è un’informazione digitale che tipicamente conferisce un diritto di proprietà ad un soggetto sull’informazione stessa, la quale è registrata su una Blockchain (o in altro registro distribuito), può essere trasferita tramite un protocollo ed, infine, può incorporare (o no) altri diritti addizionali governati da un sistema di smart contracts. Senza voler approfondire in questa sede la natura giuridica del token, che verrà svolta in altro scritto, la definizione sopra riportata appare sufficiente per poter procedere ad una classificazione fondata principalmente sul conferimento o meno, da parte del token, di diritti da esercitare nei confronti di una controparte e sulle tipologie e caratteristiche di tali diritti. Si possono così individuare tre classi di token: Token di classe 1 (nessuna controparte): il token (che in questo caso è una vera e propria coin) può essere trasferito tramite transazioni su Blockchain che garantisce la non modificabilità delle stesse. Questa tipologia non conferisce diritti nei confronti di una controparte, ma ha solamente la funzione di registrare un diritto di proprietà del token stesso o l’esistenza (su Blockchain) di un determinato soggetto/oggetto. In particolare il token non rappresenta alcun asset sottostante né il suo proprietario ha dei diritti ulteriori rispetto a quello di proprietà del token. Rientrano in questa categoria i token di criptovalute native i quali costituiscono delle unità di registrazione e rappresentazione di valore scambiabili tra soggetti diversi. Esempi sono Bitcoin, Bitcoin Cash, Litecoin, etc.; Token di classe 2 (diritti verso controparti): i token di questa categoria conferiscono ai proprietari dei diritti da esercitare nei confronti o del soggetto che ha generato i token o nei confronti di terzi. Alcuni esempi possono essere: Token per pagamenti di specifico ammontare: in questi casi il titolare ha un diritto di ricevere un pagamento per un importo specifico (al pari dei titoli cambiari conosciuti nel nostro ordinamento); Token per pagamenti futuri: conferisce il diritto a ricevere dei pagamenti futuri, sulla base di determinate condizioni; Token per la prestazione di servizi o il ricevimento di beni (anche immateriali): il titolare ha il diritto di ricevere una determinata prestazione o un bene dal soggetto emettitore o da un terzo che abbia stipulato accordi commerciali con questi. In tale ambito rientrano anche i token per l’accesso a infrastrutture informatiche, che possono anche avere le caratteristiche di criptovaluta nativa, e conferiscono la possibilità di utilizzare un’infrastruttura specifica di Blockchain; Token rappresentativi di asset: rappresenta il diritto di proprietà di un determinato asset (materiale o immateriale) e potrebbe anche rappresentare quote di partecipazione dell’entità giuridica emittente o di entità terze. Più in generale i token di classe 2 potrebbero essere inquadrati in quelli che il nostro ordinamento conosce come titoli di credito, ossia “documenti” che, secondo l’art. 1992 c.c., conferiscono al possessore “diritto alla prestazione in esso indicata verso presentazione del titolo”, nelle varie tipologie di titoli cambiari, titoli obbligazionari o di prestito, titoli di partecipazione, titoli rappresentativi di merci e documenti di legittimazione; Token di classe 3 (diritti di comproprietà): l’ultima categoria riguarda token che hanno funzione mista.

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Dal report SEC alle regolamentazioni nazionali Pur non costituendo una vera e propria regolamentazione del fenomeno si può dire che il Report SEC del 25/7/2017 ha svolto la funzione di spartiacque. Nel periodo immediatamente successivo alla sua emissione si sono infatti susseguite varie prese di posizione delle autorità di controllo di numerosi Paesi. Il 4 settembre 2017 la People’s Bank of China disponeva il divieto di Initial Coin Offering e la sospensione delle attività di scambio dei token sugli exchange (ed in genere la compravendita di criptovalute a fronte del pagamento in moneta avente corso legale), con obbligo di restituzione delle somme per quelli già collocati sul mercato, approccio seguito dalla Corea del Sud il 29 settembre 2017. Diverso metodo hanno assunto altri Paesi, alcuni con posizioni simili a quelle della SEC (il 24 agosto 2017 il Canadian Securities Administrators ha emesso una nota ricalcando sostanzialmente il contenuto del report SEC; il 28 settembre 2017 la Australian Securities ed Investment Commission ha emanato un “Information Sheet” (INFO 225) ritenendo applicabile il Corporation Act 2001 quando il token emesso sia assimilabile ad un titolo partecipativo o ad un derivato; il 5 settembre 2017 la Securities and future Commission di Hong Kong ha emesso uno statement indicando i criteri per considerare come securities i token emessi in occasione di una ICO; stesso approccio ha adottato la Banca Centrale di Singapore il 15 novembre 2017) altri limitandosi a ricordare l’applicabilità delle leggi nazionali a seconda della tipologia di token emesso (così la FINMA, ossia l’autorità di supervisione finanziaria svizzera, nelle linee guida 4/2017 del 29 settembre 2017; la FSA giapponese nel proprio warning del 27 ottobre 2017, nonché la European Securities and Markets Authority (ESMA) la quale il 13 novembre 2017 ha emesso due comunicati sia per allertare gli investitori sui rischi derivanti dall’investimento in criptovalute sia per avvertire i soggetti promotori delle ICO della necessità di rispettare la normativa europea dove applicabile). Infine, altri Paesi si sono limitati ad emettere avvisi agli investitori (come il Regno Unito) parallelamente confermando l’approccio “sandobox” relativamente alle tecnologie Blockchain oppure addirittura annunciando la volontà di avviare delle Initial Coin Offering di “valuta nazionale” (come l’Estonia), pur riprendendo l’approccio adottato dalla SEC relativamente alle ICO private.

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