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«Caro cancro, grazie: mi hai reso una completa guerriera, insegnandomi anche ad amare»

2018-09-26 10:59:15

Una giovane dell’America centrale scrive una lettera al «suo» tumore che le ha insegnato ad essere più forte e ad apprezzare il valore della vita La malattia può essere un’opportunità? Una lettera per il cancro Caro cancro, spero che tu stia bene lontano dalla mia vita e insegnando ad un’altra persona quello che già hai insegnato a me (però non ti auguro più a nessuno) e spero che, chi ti ha, sappia imparare qualcosa da te. Voglio ringraziarti per avermi insegnato ad amare, ad apprezzare le piccole cose, a provare tanto amore verso le persone che mi circondano, ad apprezzare la mia vita e quello che mi offre ogni giorno. Ti ringrazio per tanti dolori, poiché mi hai insegnato che sono più forte di quanto pensassi; grazie per i segni che hai lasciato nel mio corpo, poiché, grazie a loro che vedo ogni giorno, ricordo chi sono e tutto ciò che ho superato; grazie per avermi aiutato a perdere le cose che pensavo fossero insostituibili, per fare in modo che rimanessi calva e capissi poi che i capelli ricrescono, che questo corpo è prestato e non devo aggrapparmici; grazie per le lacrime che a causa tua ho versato, poiché mi hanno aiutato a liberare la mia anima avvicinandomi a Dio e a renderlo la cosa più importante nella mia vita; grazie per essere stato la via che mi ha permesso di sentire i miracoli, di sentire quanto Dio stia vicino a noi. Ti ringrazio, cancro, per avermi scelto, poiché grazie a te oggi sono più forte e, sebbene ti sia portato via persone molto importanti nella mia vita, persone che ho amato e amerò sempre, me ne hai portate altre con nuovi insegnamenti. Voglio che tu sappia che non ho paura di te, al contrario sei tu che dovresti temermi, poiché Dio è con me e tu conosci bene il suo potere. Ti ringrazio per avermi reso una completa guerriera e soprattutto grazie per avermi insegnato il valore della vita e quanto sia importante amare e avere fede, amare senza aspettarmi niente in cambio ed avere fede senza dubitare, poiché l’amore è la migliore medicina e la fede l’unica cosa che ha potere su di noi. Mi congedo da te non con un semplice addio, ma con un «GRAZIE», sperando che i tuoi nuovi alunni sappiano apprezzare e imparare da te, dalla virtù che si ottiene avendoti, di quanto sia speciale sentirti e quanto forti questa lotta ci renda, trasformandoci. Con molto amore, la tua cara alunna !!! Il testo è stato raccolto in un ospedale di Ematologia-Pediatrica, in Centro America dal Corriere della Sera http://malattiaopportunita.corriere.it/2018/06/24/caro-cancro-grazie-mi-hai-reso-una-completa-guerriera-insegnandomi-anche-ad-amare/

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PRONTI PER IL PROSSIMO WEBINAR?

2018-09-22 14:06:17

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Natale, ex pastore con l’Alzheimer : le pecore sono finte ma lui le cura lo stesso

2018-09-17 11:17:23

Da quando cura il gregge in polistirolo, l’uomo che vive in una struttura a Bezzecca (Trento) è più felice e più calmo. Questa e altre storie (positive) all’Alzheimer Fest Il signor Natale da giovane era pastore. Ha cominciato da piccolo, seguendo ai pascoli gli zii, le pecore e le mucche. I prati e le montagne popolano ancora i suoi pensieri. Il signor Natale ha l’Alzheimer e sogna di fuggire. Si lamenta che i cancelli della struttura (per altro bellissima) dove vive, a Bezzecca (Trento) sopra il lago di Ledro, sono chiusi. «E - dice - pur non essendo alti, non si possono scavalcare. Gli operatori lo accompagnano in giro appena possibile. Lui a un certo punto si guarda intorno e dice: «Adesso devo andare, le mie pecore sono da sole». Il signor Natale con le sue pecore finte Due inverni fa il personale che si occupa del Padiglione Alzheimer alla APSP Giacomo Cis ha chiesto aiuto al parroco per cercare di mitigare l’ansia di Natale. Ogni dicembre il paese organizza un presepe vivente che ha dello spettacolare: tutto diventa il presepio, e ognuno ha una parte: quell’anno un gruppo di cittadini aveva costruito un gregge di pecore, con polistirolo e vera lana grezza. Eccolo, il gregge perfetto! Il parroco invitò il signor Natale a recitare il pastore e la sera stessa lui tornò alla Giacomo Cis con il suo gregge: numeroso, ubbidiente e leggero. Da allora il signor Natale è più felice, più calmo. Sogna sempre di andare ma ora non può abbandonare le sue pecore. E resta. Si prende cura di loro, che a mesi alterni trovano rifugio nella hall, nel giardino, nella casetta dei giardinieri. «Le ho allevate io», dice. Poi le guarda, e guarda il suo interlocutore invitandolo a toccare con mano: «Ma non sono mica vere, non senti?». di Michele Farina su Corriere.it

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