Euro De Ornelas

Come incassare i colpi della vita: la saggezza di Rocky Balboa

2019-07-18 12:43:28

Alzati! Questa immagine, tratta dalle scene finali del film Rocky Balboa, può essere d'ispirazione per chiunque di noi si trovi momentaneamente a terra. In questo articolo prenderò spunto dal campione di Filadelfia per riflettere su come possiamo rialzarci dopo aver preso un colpo dalla vita. VAMOS!

Certo che Rocky Balboa è un’autorità in fatto di incassare colpi, cadere al tappeto e poi rialzarsi per continuare a combattere, sia sul ring che nella vita. 

Chi ha seguito la serie cinematografica lo sa: dall’inizio della sua carriera al suo ultimo incontro il nostro campione dovrà confrontarsi con delle sfide che sembrano più grandi di lui e battersi con avversari apparentemente molto più forti. È un personaggio che può essere d’ispirazione per chiunque si trovi in una situazione di difficoltà e abbia bisogno di risvegliare il suo guerriero interiore.

Siamo tutti un po' Rocky

Forse è proprio questa la chiave del grande successo di pubblico ripetutosi negli anni. Le situazioni della vita e quelle del combattimento fluiscono parallele in questi film, permettendoci così, americanate a parte, d’identificarci col personaggio e sentirci anche noi un po’ Rocky quando affrontiamo nuove sfide personali o lavorative o quando siamo faccia a terra e non sappiamo se riusciremo a risollevarci.

La vera forza: saper resistere quando siamo in difficoltà

Si sa che Rocky è uno alla buona e si esprime meglio coi fatti e con l’esempio che a parole. Tuttavia, nel sesto episodio della saga il nostro si lancia in una ramanzina al figlio che ha trovato diffusione sul web come “discorso sull’autostima”. Vediamo quindi qual’è la filosofia di Rocky Balboa.


Nessuno può colpire duro quanto può colpire la vita – gli dice – perciò, andando avanti, non è importante come colpisci : l’importante è come sai resistere ai colpi, come incassi, e se finisci al tappeto hai la forza di rialzarti! 


Certo, il discorso è chiaro e condivisibile. È la sostanza stessa di tutte le storie di Rocky Balboa. La vera forza non si misura dal potere che abbiamo sugli altri quando siamo più grandi e grossi o più in forma, ma dalla capacità interiore di sopportare la fatica e resistere quando siamo piccoli e in svantaggio. 

Lo si vede in pratica negli incontri sul ring, quando il bestione o il campione di turno, dopo aver dominato per buona parte del match, comincia a vacillare stupefatto quando riceve i primi contrattacchi efficaci di Rocky, passando così dal vantaggio allo svantaggio psicologico. La vera forza non si misura dalla facilità con cui vinciamo ma dal modo in cui sappiamo superare le difficoltà.

Resistere: ma come?

Però Rocky , ricordiamocelo, è un personaggio di fantasia mentre noi abbiamo il privilegio di vivere per davvero. 

Proprio per questo le nostre gabole e il nostro modo di reagire sono molto più imprevedibili di  quanto noi stessi possiamo immaginare.

Questo discorso nel film darà buoni frutti. 

A ben guardare però, per noi è incompleto. Ci dà solo la metà di ciò che ci serve: ci dice che dobbiamo sapere resistere ma non ci dice come farlo, come impararlo o come allenarlo. Anzi, ci dice che se non sappiamo già farlo non siamo dei vincenti, rischiando così di ottenere l’effetto esattamente contrario di quello ricercato da un discorso sull’autostima.

Come fare allora a resistere e a incassare i colpi della vita? Beh, io credo che le risposte a questa domanda siano tante quante sono le persone sulla Terra. 

Infatti, ognuno di noi nel corso della sua esperienza impara diversi modi di reagire alle difficoltà. 

Quando siamo piccoli lo facciamo in maniera perlopiù inconsapevole, sulla base dell’esempio di chi ci fa da modello. Poi crescendo cambiano le sfide e i modelli finché non creiamo un mix unico come ciascuna delle nostre vite. Per di più, il nostro modo d’incassare varia in continuazione da situazione a situazione e da periodo a periodo.

Ecco perché con questo articolo non voglio e non posso insegnare niente a nessuno ma solo condividere qualche riflessione basata sulla mia esperienza.


Distinguere il dolore dalla sofferenza

Innanzitutto credo sia utile imparare a distinguere tra i colpi che riceviamo e le mazzate che spesso ci tiriamo da soli senza rendercene conto.

Quando prendiamo una botta sentiamo innanzitutto l’impatto, seguito poco dopo da un dolore più o meno intenso. Tutto qui. L’esperienza immediata e spontanea della situazione non va al di là di questo. Certo, il dolore può costringerci a fermarci, può piegarci in due o buttarci a terra, ma fino a questo momento il colpo è solo un colpo e il dolore è soltanto un segnale della vita che ci dice di fermarci un momento perché una parte di noi è ferita e ha bisogno della nostra attenzione per guarire. È un segnale certo molto importante, ma niente più di questo.

Il vero problema sorge quando siamo già finiti a terra e in qualche modo cominciamo a prenderci a mazzate da soli: per esempio coltivando e rinforzando pensieri e giudizi sulla nostra situazione, dandoci dell’imbecille o del debole, credendo che quello che abbiamo ricevuto non sia soltanto un colpo ma significhi qualche cosa di più su di noi, sul nostro valore, sul senso della nostra vita passata o sulle prospettive del nostro futuro. A volte poi inseriamo questa esperienza in una storia che sembrerebbe dimostrare logicamente qualche cosa: lo vedi che non sei fatto per queste cose?; E adesso come farai? Chi ti darà un’altra chance?; Sei sempre il solito: chi ti credevi di essere? ; ecc…

Questa girandola di pensieri suscita delle emozioni corrispondenti che non fanno altro che deprimerci ancora di più, alimentando così di nuovo la giostra.

Se il dolore non è che dolore, tutto il baccano inutile e dannoso che la la nostra mente ci fa sopra lo possiamo chiamare sofferenza.

Soffrire di meno è possibile

Se il dolore è inevitabile, e salutare aggiungerei, la sofferenza è qualcosa che noi facciamo e che quindi possiamo anche smettere di fare. Come? Essendo consapevoli del processo. Una volta che ci rendiamo conto dei nostri pensieri, e che li osserviamo dal punto di vista di un testimone, iniziamo a prenderne distanza e a non identificarci più con loro: c’è questo pensiero in me ma è solo un pensiero, non sono io. I pensieri cambiano in continuazione, come le situazioni. In passato ce ne sono stati di peggiori e di migliori e anche in futuro sarà così.

E mentre li osserviamo perdere importanza diventa più facile concentrare la nostra attenzione non sui film mentali sul nostro passato o il nostro futuro ma sulla guarigione che sta avvenendo qui e ora e di cui il dolore è parte integrante. Non si tratta di sopprimere i pensieri che creano la sofferenza: in quel caso dovremmo concentrarci su di loro rischiando solo di rinforzarli. No. Si tratta, al contrario, di non dare loro importanza, prenderne le distanze e lasciare che si disperdano da soli, concentrando invece l’attenzione sulla vita che sta scorrendo ora in noi.

Fare attenzione al respiro per fare attenzione alla vita

Come fare? Una volta che abbiamo riconosciuto un pensiero distruttivo o l’emozione che vi corrisponde abbiamo già fatto un passo indietro per allontanarcene. Ora spostiamo il massimo possibile dell’attenzione dal mondo dell’autoflagellazione mentale a quello della vita vissuta nell’immediato. 

Un’esperienza che viviamo in ogni momento della nostra esistenza e che è alla base della nostra stessa vita è la respirazione. Rendiamoci quindi conto di come respiriamo. Percepiamo l’aria entrare e uscire dalle narici, sentiamo l’addome salire e scendere ad ogni inspirazione ed espirazione, insomma: viviamo coscientemente e fino in fondo questa funzione vitale. 

Forse il film mentale sarà ancora in sottofondo, ma noi non ce ne stiamo occupando. Stiamo in vece dando il massimo della nostra attenzione a qualcosa che sta succedendo per davvero qui e ora. Usiamo il respiro come ancora alla realtà per evitare di andare alla deriva nelle nostre tempeste mentali.

Ricomincio da qui

Distinguere il dolore dalla sofferenza in questo modo è quindi, secondo me, il primo passo per rialzarci quando siamo al tappeto, sia sul ring che nella vita. Quando il dolore ci butta a terra è perché è proprio lì che dobbiamo essere in quel momento. È da lì che inizia la guarigione e da lì ci si può appoggiare per cominciare a rialzarci. Ma per farlo dobbiamo prima lasciare perdere tutti i pensieri e le emozioni da noi stessi inconsapevolmente prodotti che continuano a schiacciarci a terra inutilmente.

Non cercare di essere forte

Sembra paradossale ma, a mio avviso, un altro fattore importante quando cerchiamo di rialzarci è non cercare di essere forti. Infatti, più vogliamo essere forti più ci autodefiniamo come deboli. Certo: se siamo a terra sappiamo benissimo che non siamo ancora abbastanza forti per muoverci bene sul ring e ricominciare subito il combattimento ma cercare di esserlo non cambia niente se non che aggiunge frustrazione alla situazione. Dobbiamo fare un passo alla volta: prima ci mettiamo a quattro zampe e – uao! – siamo già stati abbastanza forti per fare questo senza cercare di esserlo! Poi proseguiamo mettendoci in ginocchio, appoggiando un piede a terra, spingendo e appoggiando pure l’altro ed eccoci in piedi. Ancora una volta siamo stati abbastanza forti senza sprecare energie cercando di esserlo.

Come abbiamo fatto? Di nuovo restando nel presente. Certo, avevamo bene in chiaro dove volevamo arrivare, ma abbiamo concentrato comunque la nostra attenzione su come ci sentivamo e cosa stavamo facendo in quel momento visto che l’unico momento in cui possiamo fare qualsiasi cosa è sempre e solo il presente.


E voi come incassate?

Come detto all'inizio credo che ognuno di noi abbia un modo differente di rispondere alle difficoltà e che questo possa variare da periodo a periodo. Spero che ciò che ho scritto possa essere utile e se vorrete condividere nei commenti delle riflessioni basate sulla vostra esperienza mi farebbe molto piacere. In questo modo potremo completare tutti assieme il discorso di Rocky e tornare sul ring con speranza e fiducia!

VAMOS!!