Euro De Ornelas

11 settembre 2001: incontro con il me stesso di 20 anni fa

2021-09-11 14:36:35

Stavo riprendendo provvisoriamente il controllo sul disordine cosmico della mia vecchia cameretta ed ecco riemergere un tema scritto quei giorni al liceo

Nei momenti in cui diventa necessario agire in maniera risoluta ed energica per ridurre l'entropia della mia stanza si aprono delle possibilità inaudite. 

Fra queste vi è il viaggio nel tempo.

Ed è proprio ciò che mi è accaduto qualche mese fa, quando, ravanando e annaspando per ripristinare l'ordine e il progresso, mi è capitato per le mani un vecchio classificatore con testi, esami scritti e dispense dei tempi del liceo. 

Fra questi ho trovato un testo argomentativo: un tipo di esercizio che facevamo spesso nelle nostre lezioni di italiano. 

Credo di averlo scritto a qualche settimana di distanza dagli attacchi dell'11 settembre di cui quest'anno si commemora il ventennale.

Era forse la vigilia dell'intervento militare americano in Afghanistan.

Avevo 18 anni e frequentavo la classe IVa del liceo cantonale di Locarno.

È stato strano rileggerlo a 20 anni di distanza. 

Vi ho ritrovato l'incertezza e la confusione di quei momenti, ma soprattutto il timore che questo attentato, e la reazione che probabilmente voleva provocare in noi, finissero per creare un'atmosfera di tensione costante e conflitto fra comunità.

Un ambiente in cui le stesse organizzazioni terroristiche trovano spesso terreno fertile per proliferare.

Nonostante l'ingenuità di certi passaggi, che oggi correggerei, e lo stile ogni tanto un po' troppo arzigogolato e retorico per il mio gusto di oggi, condivido ancora l'idea fondamentale di quel testo e vorrei quindi riproporvelo qui: direttamente dal tunnel spazio-temporale di camera mia.

Dove si nasconde il nemico

(Euro De Ornelas, IVa)


Pensavamo di essere al sicuro. Ci sbagliavamo. L'impressionante serie di attentati perpetratasi a New York e a Washington ha distrutto le fondamenta della splendida e superba torre di certezze che avevamo costruito e che le Twin Towers rischiano ora di trascinare con loro nel rovinoso e mortifero crollo dell'11 settembre. 

L'America, abbandonata la veste del lutto, ha indossato l'uniforme militare e si accinge ad affrontare quella che è stata definita la prima guerra del terzo millennio.

Già, gli Stati Uniti sono in guerra e noi con loro. 

Qualcuno ha detto che l'attacco terroristico all'America ha inaugurato un conflitto contro la civiltà occidentale condotto da diverse organizzazioni fondamentaliste islamiche molte delle quali sono confederate sotto la guida di Osama Bin Laden, il miliardario del terrore. 

Questo non è completamente vero. 

Se infatti il principale sospettato dei crimini esecrandi in cui sono periti migliaia di civili innocenti è effettivamente Laden, l'attacco non costituisce un'aggressione contro la civiltà liberale e democratica, bensì contro la civiltà in generale (ivi inclusa quella islamica). 

La condanna degli attentati è stata quasi unanime anche in Medio Oriente (escluso l'Iraq) e questo significa che, presenti sempre e comunque i calcoli di real-politik, l'islam stesso, almeno in una certa misura, è stato colpito. 

Non è forse vero che un attacco suicida e assassino costituisce una bestemmia contro una religione che predica il rispetto della vita (anche nella guerra santa) e proibisce il suicidio? 

Questo punto è stato sottolineato anche dal presidente George Walker Bush in un discorso in cui annunciava la guerra contro il terrorismo ma non contro l'islam.

Bene. Il nemico è stato chiaramente identificato: Bin Laden, il terrorismo e tutti gli Stati che lo proteggono.

La situazione sarebbe ideale se tutti condividessero questi obiettivi, ma purtroppo il panorama mediorientale  presenta molti punti oscuri.

Si fa sempre più acuta la divergenza d'opinione fra la leadership pakistana, che ha promesso aiuto agli alleati contro il terrorismo, e la popolazione. 

L'integralismo rischia poi di essere ulteriormente fomentato da una rappresaglia sproporzionata.

La volontà di tutti è di evitare che il conflitto degeneri in una guerra di civiltà.

Guerra...siamo abituati ad associare a questo vocabolo conflitti tra Stati, dettati da nazionalismi o da ideologie (per esempio la Guerra Fredda).

Oggi invece ci troviamo di fronte a un genere di conflitto assolutamente nuovo, che forse era già in atto da tempo ma di cui solo ora ci rendiamo conto: la guerra globale che vede una coalizione di Stati contrapposta a una multinazionale del terrore con filiali in tutto il mondo. 

In questa guerra il nemico è difficile da stanare. 

Si nasconde come Bin Laden, ricercato da anni da una moltitudine di servizi segreti e mai catturato. 

Dove si nasconde il nemico?

Per rispondere a questa domanda non basta scovare Bin Laden.

Bisogna cercare la causa dell'integralismo, e non solo nella politica internazionale (specialmente nella politica estera neo-isolazionista e "imperialista" americana, tanto criticata dagli europei che hanno gestito in maniera pessima la crisi nei Balcani, e in modo inguardabile i propri problemi interni come il terrorismo in Ulster e in Spagna, o la pessima organizzazione della polizia contro i guerriglieri anti-global in Italia), ma anche nella psicologia individuale e di gruppo. 

Guardiamo la Storia e cerchiamo di identificare le ragioni, le cause dei conflitti. 

Prendiamo come esempio le guerre ideologiche e quelle mondiali. 

In tutti e due questi conflitti incontriamo come elemento chiave il concetto di gruppo: nel primo caso si tratta di un partito, nel secondo caso dell'idea di nazione esasperata fino a diventare l'idea del dominio di una nazione sulle altre (in questo discorso s'inserisce anche il razzismo).

Ora, in questo regime tribale ogni individuo viene giudicato e valorizzato non in base alla sua personalità ma alla sua appartenenza a un clan piuttosto che a un altro (bianchi o neri, comunisti o capitalisti, tedeschi o francesi che siano).

È un regime che fagocita l'individuo e sostituisce al pensiero i dogmi di partito e la certezza di avere ragione.

Non c'è niente di più pericoloso di questa certezza in quanto ci impedisce di prendere in considerazione la possibilità di avere torto (o meglio, che il gruppo abbia torto visto che ormai il pensiero dei membri si è conformato e identificato nella bandiera della tribù) ed è questo che provoca contrasti e fanatismi. 

Perché si arriva fino a questo punto?

È una debolezza umana quella di cercare le certezze e fuggire il dubbio, quella di non mettersi in discussione. 

È una debolezza che è nella natura di ognuno di noi e che dobbiamo combattere.

Dunque, la prima risposta alla domanda che ci siamo posti sopra è inquietante: il nemico siamo noi e la guerra si combatte anche e soprattutto dentro di noi. 

Entrare in uno spirito tribale, in una lotta di civiltà, oppure valutare ogni individuo come tale? Questo l'importante quesito che si porrà l'impiegato americano sedendosi alla scrivania accanto a quella del collega di lavoro musulmano.

Abbiamo detto che il fanatismo è il risultato di una morbosa ricerca di certezze.

Qual è la condizione in cui ciò si può verificare se non la mancanza totale di certezze e di speranza nel futuro? 

La prima operazione da fare per combattere il nemico è allora dare certezze con una intelligente politica economica (abbassare i debiti dei paesi poveri del Medio Oriente), dare prospettive per il futuro perché la gente si convinca che vale la pena di vivere la vita piuttosto che sacrificarla al gruppo (ultimo atto dell'annullamento totale dell'individuo) portando con sé migliaia di innocenti.

Fino a quando ci saranno queste condizioni (narcisismo di gruppo, disperazione, certezze distruttive invece  che dubbi costruttivi) nessuno è al sicuro, né dagli altri, né da sé stesso.

Il resto è silenzio.