VegChef diVerso

Parole e poesia per la cucina

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Ma si potrà mai morire per cibo troppo buono?

2018-10-26 22:52:08

Sembra di sì. Infatti Bertoldo, il contadino furbo e scaltro, capace di risolvere per il re Alboino i grattacapi che i dignitari di corte neppure erano stati in grado di capire, fu nutrito come un principe alle mense del re. Ma, come venne scritto sulla sua tomba, “morì con aspri duoli /per non poter mangiar / rape e fagioli“. Qui a seguire la storia in sintesi.

A ciascuno il suo cibo

Giulio Cesare Croce è l'autore di "Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno", un romanzo comico pubblicato nel 1606 che narra le gesta di Bertoldo, villano rozzo e bestiale dotato di un istinto sottile, che con furbizia risolve al re Alboino grattacapi e problemi di vario genere, proponendo soluzioni che i suoi dignitari di Corte, nobili ed educati (ma evidentemente un po' rimbecilliti!), non si erano neppure lontanamente immaginati.

Il topos del contadino furbo è caratteristico di quell'epoca, ma non è questo che ci interessa ora.

 

Ci interessa che il buon Bertoldo, ricompensato per i suoi servigi con una vita di corte accanto a nobili e re, nutrito come meglio non potrebbe un principe, si trova in grave difficoltà: perché lui, contadino, ha i suoi cibi dedicati: rape, fagioli, (patate non ancora! Arrivano dalle Americhe e per essere introdotte nell'alimentazione europea ancora ce ne vuole!), radici, erbaggi, ...  insomma, cibi che corrispondono per varie ragioni (crescono "nella" terra; sono molto prolifici; sono pesanti di digestione; durano a lungo; etc. etc. : ne parleremo) al suo lignaggio di villano e contadino.

 

Per cui, nutrito di volatili, pesche e pere delicate, di salsine e dolcetti prelibati, di ogni ben di Dio che la cucina "barocca" dei grandi cuochi del Rinascimento italiano era riuscita a inventarsi per soddisfare i palati dei "Signori", ebbe a soffrirne grandemente. E morì, di inedia.

Ascoltiamo il racconto: "... mentre ch’e stette in quella corte, ogni cosa andò di bene in meglio; ma essendo egli usato a mangiar cibi grossi e frutti selvatichi, tosto ch’esso cominciò a gustare di quelle vivande gentili e delicate s’infermò gravemente a morire, con grandissimo dispiacere del Re e della Regina, i quali dopo la sua morte vissero sempre una vita trista e infelice. I medici che non conoscevano la sua complessione, gli facevano i rimedi che si fanno alli gentiluomini e cavalieri di corte; ma esso, che conosceva la sua natura, teneva domandato a quelli che gli portassero una pentola di fagiuoli con la cipolla dentro e delle rape cotte sotto la cenere, perché lui sapeva che con tal cibi saria guarito; ma i detti medici non lo volsero mai contentare." 

Il povero Bertoldo, privato della sua pignatta di fagioli, perì per indigenza, nonostante la disponibilità di banchetti riccamente imbanditi di cibi.

Nel suo epitaffio fu scritto: "Morì con Aspri duoli /per non poter mangiar / rape e fagiuoli".

 

Uno dei tanti racconti di quell'epoca, questo, che dicono come il cibo sia per noi uomini un nutrimento simbolico, oltre che un nutrimento per il fisico. 

Alle prossime puntate di questo nostro nuovo canale!

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Grazie del Gusto!

#VegchefDiVerso