VegChef diVerso

Parole e poesia per la cucina

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Love and Honor (Bushi no Ichibun). Una storia di Vita dello Spirito, dal cibo al cibo.

2020-04-30 06:47:04

In questo articolo vi racconterò di un film. Non è affatto un film sul cibo, bensì un film sulla Vita, sull'onore, sulla visione senza occhi, sullo Spirito. Sull'Amore. Ma la storia nasce nel cibo e finisce con il cibo. O, meglio, muore nel cibo e rinasce nel cibo.

Cari amici,

in questo articolo vi racconterò di un film.


Non è per niente un film sul cibo, ma la storia nasce nel cibo e muore nel cibo.

O, meglio, sembra morire nel cibo ma poi rinasce nel cibo.


La traduzione inglese del titolo, più accattivante per il mercato occidentale, non è corretta. Rende meglio l’idea dei contenuti il titolo giapponese Bushi no Ichibun, che significa “L’Amore del Guerriero”.


E’ un film molto bello che parla di Amore, di Onore, di rispetto, di Valori dell’Anima, di Spirito che si esprime nel Mondo. Di Grandezza dell’Essere umano nelle sue virtù femminili e maschili.Di falsità. Di come la falsità non sappia vedere, nonostante gli occhi fisici, e quindi non riesca ad agire, mentre l’assenza di occhi fisici diventa la condizione per l’apertura del senso della Presenza, e quindi per l’Azione.


Un film bellissimo, che non parla di cibo.

Ma nel quale il cibo esprime al meglio il suo valore relazionale, quello che cerco di sottolineare nei miei scritti: quello che ci alimenta, grazie al cibo e alla sua preparazione, non sono nutrienti fisici o, meglio, non solo quelli.

Carboidrati, proteine, lipidi, oligoelementi, Sali minerali e vitamine alimentano il corpo fisico. Ma il nostro corpo fisico, che è attraversato da una forza vitale (non si alimenterebbe, altrimenti: il mondo fisico che non è attraversato dalla vita non si alimenta), per assimilarli si struttura nella relazione.

Così accade che il cibo può essere molto altro per noi, per la nostra forza vitale, che non i nutrienti sopra elencati.

E’ un passaggio essenziale, dato per scontato ma subdolamente nascosto dal pensiero dominante oggi: noi non siamo prevalentemente corpo, ma prevalentemente vita, che si esprime in un corpo!

Veniamo al film.

Giappone all’epoca dei Samurai, 1600 circa.

Ve ne racconterò solo i tratti essenziali per la relazione con il cibo, vi invito a guardarlo, se volete, scaricandolo da dal link sopra riportato su Rai Play. Mentre potete leggere la completa trama qui, da wikipedia


Il protagonista della nostra storia, Shinnojo Mimura, Samurai, sposato con Yoko, è assaggiatore presso la corte dello Shogun.

Il suo compito non è eroico nel senso tradizionale del termine, anche se l’eroismo, che non si colloca in un fatto specifico ma in una condizione dell’animo, si manifesterà nel compito apparentemente banale che gli è stato assegnato.

Il compito consiste nell’assaggiare le pietanze  (assieme ad altri quattro uomini, secondo una ritualità che ancora oggi nei templi Zen continua ad essere seguita) preparate dalla brigata di cucina e offerte al Principe.


Accade dunque che una di queste preparazioni, a base di un mollusco che richiede una pulizia molto attenta (ancora oggi in Giappone muoiono persone per l’assunzione di sushi di fugu, pesce palla, i cui organi interni contengono sostanze letali) avvelena Shinnojo al primo assaggio.

Il Samurai cade a terra inanimato. Dopo due giorni si sveglia, ma resta cieco.


Il cibo avvelena. Il cibo ha prodotto la cecità dello sguardo fisico e un Samurai senza vista è perduto, non ha di che vivere, diventa una persona da dover assistere. Sembra che dal cibo si aprano le porte del declino e della morte.

La storia procede e se volete, appunto, seguitela nel film o dalla trama sopra richiamata.


Nella rigida ritualità dell’epoca, riferita con grande rispetto dal regista Yoji Yamada, in cui uomini e donne rispondevano delle loro azioni prima alla famiglia, poi alla società e solo in ultimo al loro "privato", si aprono gli scorci d’anima che la stessa formale procedura, in qualche modo, stimola. Come se noi comprimessimo una palla di gomma piena di acqua, in qualche modo l’acqua, che è contenuta nella forma, attraverso la compressione fa sentire la sua forza, chiede di “uscire”.


Senza lo sguardo fisico, esce al mondo lo sguardo spirituale del samurai, che diventa capace di “sentire”.

Diventa capace di fare il vuoto in sé e cogliere la Presenza. E' una condizione essenziale! Senza lo spazio dell’a-ttenzione non possiamo pensare con in-tenzione! Senza il vuoto che si fa, non possiamo riempirlo. Senza il femminile non potrebbe esserci il maschile e viceversa.


Da questo vuoto si apre il nuovo mondo di Shinnojo. Non è più il Samurai assaggiatore di basso rango, ma è un Uomo, un Samurai che sa combattere.

Pronto a morire.

Nonostante la sua cecità fisica vede molto di più di chi, accecato dai suoi desideri, può vantare un rango tra gli uomini superiore, ma non sa di dover morire.

In una battaglia impossibile Shinnojo vince, perché è pronto a perdere, perdere tutto.


Il film si chiude con il cibo. Kayo, la moglie amatissima che aveva allontanato, bella tra le belle perché amata (“Poiché io l’amo, Ella è pari alla più bella del mondo”, come disse Don Chisciotte di Dulcinea del Toboso), si manifesta a lui nuovamente dal silenzio, dal vuoto, attraverso il cibo.

Shinnojo, cieco, riconosce la mano che gli ha preparato il cibo di cui si alimenta. Cieco, ma ormai capace di uno sguardo che va al di là.

Pronti a morire, sia lui che Kayo, ricominciano una vita che è nuova, ricca come non si potrebbe aver pensato prima. Nell’amore. Grazie al cibo, che per loro è stato il “viaggio”, come Itaca per Ulisse nella bellissima poesia di Kavafis.

Mi è sembrato bello raccontarvi di questo film, perché l’ho trovato molto in sintonia con la mia intenzione. Come nel film, si parte dal cibo e si arriva al cibo.

Ma io vorrei parlarvi soprattutto di altro.


Grazie, veramente, del Gusto

Marco Boscarato, VegChef diVerso