Una Storia veneta. L'avventura di Dino Boscarato

Founder Junior

9 - Una storia veneta. La parentesi veneziana.

2020-06-22 20:50:16

«Si innescò però un meccanismo per cui, invece di aprire un locale solo a Venezia, preso dall’entusiasmo, ne aprii tre. è stata proprio una sbandata.». Continua la pubblicazione a puntate di “Una storia veneta. L'avventura di Dino Boscarato e della trattoria dall'Amelia di Mestre.“

 

Verso la fine degli anni ’80, preso da una specie di frenesia, diciamo da mania di grandezza – anche perché  mio figlio Diego era entrato in azienda e si era fidanzato con Susanna che poi ha sposato, e avevo otto dipendenti in più e licenziarli era un po’ difficile – avevo pensato di aprire un locale a Venezia.

Si innescò però un meccanismo per cui, invece di aprire un locale solo, preso dall’entusiasmo, ma anche da motivi di carattere organizzativo (ritardi di permessi, ecc.) ne aprii tre. È stata proprio una sbandata.

L’idea era quella di fare tre tipi di ristorazione. Un ristorante sarebbe stato di alta qualità, con una idea simile a quella che avevo per il Tinello ai Molini: questo era il Regina, in calle della Regina, che mi ha impegnato molto anche economicamente perché l’avevo trasformato in un vero gioiellino, molto ben organizzato. Purtroppo però non è decollato.

Avevo poi rilevato, una vera occasione, le Poste Vecie, che per me era uno dei più bei locali di Venezia, molto tipico, che mi è rimasto nel cuore. E poi il Nono Risorto, scelto perché attiguo al Regina e vicino alle Poste Vecie, che mi è stato offerto all’ultimo momento e a cui non ho saputo rinunciare.

I tre locali dovevano essere nettamente diversificati: il Regina avrebbe dovuto essere un localino di lusso, sofisticato, ricercato; le Poste Vecie invece un ristorante tipico veneziano; e il Nono il bacaro della tradizione popolare.

Avrebbe dovuto essere una gestione unica e io avrei dovuto andare a Venezia per sei mesi in modo da organizzare il tutto, sennonché mi sono ammalato e tutto il programma è saltato.

Nel frattempo però la gestione lì è continuata, e al Regina, per farlo decollare, avevo organizzato qualcosa di simile alla “Tavola all’Amelia”: una “Tavola delle Regine”, donne inserite nell’alta società veneziana, con cui ci siamo anche inventati un premio dedicato alle donne più prestigiose.

Il premio era partito benissimo, e avevamo avuto due serate eccezionali. Nella prima era stata premiata la scrittrice di cinema Suso Cecchi d’Amico, nella seconda l’architetto Gae Aulenti che aveva curato il restauro di Palazzo Grassi. Due bei premi che, purtroppo, come tante altre iniziative, sono caduti nel dimenticatoio.

Le Poste Vecie, negli ultimi anni, stavano andando benissimo, lo gestiva Ottavio. Abbiamo anche concorso al “Fogher d’oro”, e l’abbiamo vinto.

Qual è il motivo per cui non ha funzionato la gestione di Venezia? Anzitutto non sono riuscito a gestire i locali direttamente.

L’insuccesso è stato una lezione di umiltà per me.

Allora pensavo che bastasse andare in qualsiasi posto dicendo: “Qui c’è l’Amelia!”, e seguirlo poi dall’alto, senza necessità di essere presenti continuamente. Ma la clientela reagisce a suo modo. E anche i dipendenti: se sono bravissimi vanno per conto loro, se sono discreti bisogna però poterli seguire direttamente. Io avevo preso al Regina un campione del mondo dei sommelier, Vaccarini, e un cuoco che andava per la maggiore, ma loro da soli, anche perché sono sorti nel frattempo dei problemi, non sono riusciti a gestire il locale come volevo io.

Tra le note positive di quell’avventura veneziana, comunque, c’è stata la conoscenza del commercialista dottor Valentini, che poi ci ha seguito per tutti gli anni successivi, aiutandoci a risolvere i problemi e diventando nostro amico.

Quindi ho capito che è inutile aprire ristoranti a destra o sinistra, a meno che non si tratti di formule standard, oppure devono essere molto, molto personalizzate. E personalizzare significa essere presenti.

 

 

 

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