Una Storia veneta. L'avventura di Dino Boscarato

Founder Junior

2 - Una storia veneta - Nascita di un jolly (seconda parte)

2020-02-05 23:02:12

Continua la pubblicazione a puntate del libro “Una storia veneta. L'avventura di Dino Boscarato e dell'Amelia di Mestre“ con la seconda parte dell'introduzione scritta da Ivo Prandin

A combinare il bel giochetto al destino, dunque, quello immaginato da altri – i suoi genitori, che gestivano alberghi in Cadore – è stato un Dino Boscarato di trentatre anni, “gli anni del Signore” avrebbe detto sua madre. In effetti, Dino, che era nato nel 1928, aveva fatto l’albergatore e gourmet durante gli studi, a San Vito di Cadore e a San Vigilio di Marebbe. Quel mondo, però, gli stava piuttosto stretto, al punto che aveva anche ipotizzato di aprire un locale in Germania seguendo la pista aperta dai gelatai della sua terra.  

Aveva bisogno di essere sfidato – tipico di un giovane talentuoso – ma il campo voleva sceglierlo lui. Insomma, scendendo un giorno dalle montagne materne fino alla laguna di Venezia, non solo ha dato un’impronta di originalità alla ristorazione, che sarebbe già un titolo di merito, ma ha anche modificato il modo di far cultura in un territorio circoscritto, al punto da coinvolgere un’intera regione e da far proliferare un bel numero di imitatori.

Era il momento di “Italia ’61”, dicevamo, cioè del primo centenario dell’unità della nazione. Il Presidente della Repubblica, Gronchi, all’inizio della primavera aveva aperto le celebrazioni con un discorso al Parlamento. L’anniversario alimenta manifestazioni rievocative, magari togliendo la ruggine a una parola come “patria”. Naturalmente, dove c’è festa c’è tavola e infatti si mobilita anche la gastronomia, regione per regione.

Dino si acclimata ben presto e fra le novità che porta nel suo ristorante – e sarà in buona compagnia, basti pensare al milanese Bagutta – c’è l’apertura di un tavolo a un gruppo di intellettuali veneti che si inventano la “Tavola all’Amelia”, tutt’ora attiva. Che cos’è questa “Tavola”? In concreto, è una grande tavola che occupa quasi interamente la saletta superiore dell’Amelia, le cui finestre danno su via Miranese: uno spazio separato dal grande ristorante, silenzioso e protettivo della privacy. Dal punto di vista culturale, invece, la “Tavola all’Amelia” (come suona la sua dicitura originale) è un sodalizio, un club senza tessere o regolamenti – fondato su un gentlemen’s agreement – un cenacolo di poeti, scrittori, artisti, professionisti, docenti universitari, giornalisti, personalità della cultura di Venezia, Mestre e del Veneto che danno lustro all’Amelia. L’anfitrione, lui, ospitava i ventiquattro componenti del sodalizio, i “tavolanti” come li chiamava con simpatia e orgoglio. Erano praticamente suoi ospiti poiché pagavano (quasi) simbolicamente la cena, durante la quale ragionavano – anche polemicamente – di temi legati alla cultura e alla vita.

Dopo un periodo di assestamento del gruppo – che non poteva superare i ventiquattro effettivi – e del suo allargamento alla regione, o meglio al Nordest, e dopo serate di discussioni su arte, letteratura e varia umanità, o l’ascolto di ospiti – forestieri e stranieri di passaggio – ben presto si affaccia e si impone l’idea di fondare un premio. Non l’avessero mai detto: Dino comincia a soffiare sul fuoco, per così dire, e in concreto si mette a disposizione insieme a Mara e allo staff del ristorante, cioè crea l’organizzazione a supporto della manifestazione, che dovrà essere annuale. Il suo convincimento agisce come una carica elettrica su un motore, e così l’idea si trasforma facilmente in premio, con regolamento, giuria (gli stessi membri della Tavola) e il “segno” distintivo – oggi diremmo il suo logo – che è una scultura di Salvatore, una fiamma stilizzata in bronzo.

Da sottolineare che il premio “Tavola all’Amelia” nasce a Mestre, cioè in una città allora ancora in crescita, tumultuosa e caotica sotto la pressione di uno sviluppo leggendario, vero fenomeno storico in Italia. Ma le sue radici sono piantate nell’humus culturale dell’Europa, e quarant’anni di vita lo testimoniano.

È il 1965, e Dino ha raggiunto in quattro anni un traguardo prestigioso, ha realizzato un sogno che covava dentro fin dai tempi dell’attività alberghiera in montagna: promuovere un incontro, anzi una fusione vera e propria, fra gastronomia e arte, tra cucina e alta cultura.

Qualcosa che allora non c’era nel Veneziano. L’entusiasmo è tale, in tutti, che nel primo e nel terzo anno di premi se ne celebrano addirittura due. Per la cronaca: nel 1965 Luciano Anceschi e Virgilio Guidi, e nel 1967 Sylvano Bussotti e Giovanni Barbisan. Cioè critica letteraria e pittura, musica contemporanea e, ancora, pittura.

All’inizio, attorno alla Tavola siedono pochi, il gruppetto dei fondatori: il pittore e poeta Mario Lucchesi, il poeta e manager Ugo Fasolo, gli industriali Sergio Compagno e Gino Pagnacco; due icone della “mestrinità” come Piero Bergamo e Luigi Brunello; gli scultori Toni Benetton e Salvatore Messina, il pittore Rinaldo Frank Burattin, il critico d’arte Giuseppe Marchiori, Franco Flarer artista-chirurgo, i poeti Guido Costantini e Giuseppe Surian, Stefano Rosso Mazzinghi della Fondazione Cini, Alessandro Bettagno, Calogero Muscarà… Poi ci sono gastronomi-scrittori come Giuseppe Mazzotti e Giovanni Nuvoletti e giornalisti divulgatori della buona cucina come Gigi Bevilacqua.

Dalle costole della Tavola nascerà più avanti un’altra iniziativa del­l’Amelia: “A tavola con l’autore”, che attira subito l’attenzione dell’industria culturale e dunque delle grandi case editrici e della stampa. Si tratta di serate per invito, a tavola beninteso, con uno scrittore: durante questo “incontro ravvicinato” l’autore si presenta, insieme a un critico-presentatore, e racconta la nascita del suo ultimo libro in un clima rilassato, confidenziale. I commensali ricevono gratis l’opera – con il rito della dedica autografa – mentre Dino e lo chef dell’Amelia inventano ogni volta un menu speciale, cioè nuovo rispetto ai piatti serviti in sala: infatti la cena è ispirata al libro o alla tradizione enogastronomica della regione di origine dell’ospite d’onore. Per Boscarato, è sempre stato un modo di fare cultura utilizzando gli strumenti della sua professionalità.

Dino è il motore di tutto questo, entusiasta e generoso sempre, anche quando la riconoscenza degli altri non lo ripaga moralmente dei suoi slanci e del suo impegno economico.

                                           

 

Ivo Prandin