♦ Sergio Omassi ♦

Life Coach e Formatore

Il brainstorming è davvero utile al processo creativo?

2018-11-13 09:06:42

La pratica del brainstorming, ovvero della tempesta di cervelli, è tuttora molto utilizzata nella maggior parte delle aziende strutturate che devono produrre idee. In questo articolo i PRO e i CONTRO secondo la ricerca.

Nella mia costante curiosità ho fatto una ricerca sulla sua validità ed ho scoperto che la credenza comune a riguardo non è suffragata dalle ricerce che sono state fatte sull'argomento.

Il brainstorming è ancora efficace, garantisce i risultati attesi, ovvero la produzione di idee funzionali e operative? Sembra che la risposta sia negativa, ma partiamo dall'inizio.

Negli anni quaranta gli Stati Uniti videro sbocciare il mondo della pubblicità, che fiorì definitivamente dal dopoguerra in poi.
Iniziarono in quegli anni, ad esempio, a strutturarsi i formatori che nel decennio successivo avrebbero tenuto e venduto corsi in vinile su "come chiudere la vendita" o "come vendere te stesso agli altri". Gli stessi corsi che, importati circa un ventennio dopo in Italia, ancora oggi vengono proposti, con le dovute integrazioni, da molte scuole di formazione.

In questo fermento, sul piano del marketing, si mise in luce un pubblicitario che si chiamava Alex Osborn, grazie a una sua teoria che prese presto il nome di brainstorming.

Secondo lui era possibile stimolare la creatività mettendo un gruppo di persone in una stanza e dando loro delle regole precise, riassumibili in tre punti:

  • Tirar fuori il maggior numero di pensieri possibile.
  • Incoraggiare anche le idee apparentemente assurde.
  • Non giudicare o criticare i contributi altrui.


Osborn dichiarava: "l'individuo medio ha il doppio delle idee quando si trova a lavorare in gruppo, rispetto a quando lavora da solo" e gli fu abbastanza facile vendere il suo metodo a moltissime aziende americane, per poi esportarlo in tutto il mondo.

Ancora oggi, nel mio lavoro di consulenza alle aziende, vedo pianificazioni di brainstorming nei palinsesti delle attività interne.

Dopo quasi ottant'anni, quanto è efficace il brainsotming fatto secondo le regole di Osborn?

Domanda che si sono posti, già nel 1991, alcuni ricercatori, in particolare Brian Mullen (1955-2006) dell'Università del Kent a Canterbury.

Insieme alla sua équipe analizzò i risultati di una ventina di esperimenti per testare il lavoro di squadra, condotti su un unico modello preciso.

Un gruppo di persone veniva diviso in due:

A una metà (scelta casualmente) veniva assegnato un vero e proprio lavoro di squadra e una stanza in cui svolgerlo, venivano spiegate le regole del brainstorming e dato un compito preciso, come quello di preparare una nuova campagna pubblicitaria o risolvere la questione del traffico intenso;

All'altra metà veniva chiesto di eseguire lo stesso compito in modalità solitaria, in stanze separate e senza possibilità di confronto.

Al termine dell'esperimento i ricercatori contavano le idee prodotte nelle due diverse condizioni e, infine, alcuni esperti del settore ne giudicavano la qualità.

La pratica del brainstorming dall'inizio degli anni novanta stava vivendo il suo massimo splendore in ogni Paese avanzato, quindi il risultato della ricerca fu davvero inaspettato.

Nella stragrande maggioranza dei casi esaminati, i soggetti che avevano lavorato in solitaria avevano prodotto non solo una migliore qualità di idee, ma anche una maggiore quantità rispetto a coloro che avevano lavorato in modalità brainstorming.

Approfondimenti della ricerca, da parte di altri studiosi in tutto il mondo, hanno cercato di dare una spiegazione al fallimento del brainstorming, in completa controtendenza rispetto alla credenza comune, e ne è risultato che:

La metodologia fallisce a causa di un fenomeno chiamato pigrizia sociale: in gruppo il singolo si impegna meno di quanto si impegnerebbe da solo.

Una concausa del fallimento sta nel cosiddetto frazionamento delle responsabilità, secondo cui quando un soggetto lavora da solo il successo e il fallimento sono imputabili esclusivamente alla sua capacità e al suo impegno. Quindi, in caso di successo, i meriti sono solamente suoi e, in caso di fallimento, deve assumersene la responsabilità.

Il brainstorming sembra soffocare la creatività, anzichè stimolarla.

Come fautore dell'intelligenza gruppale, credo che questa pratica non sia da abbandonare, ma da integrare con una nuova regola che potrebbe dare nuova vitalità e funzionalità alla metodologia.

Ad oggi, in moltissime aziende ancora, si stabilisce la data di un brainstorming al quale si presenta il team che, nella migliore delle ipotesi, conosce il tema oggetto del processo creativo, ma a volte lo scopre solo durante il meeting.
A nessuno viene chiesto di preparare le sue idee per tempo, ma viene facilitata proprio la libertà creativa che prende vita durante l'incontro seguendo le tre regole che ho citato poco fa.

Non chiedere ai partecipanti di preparare le proprie idee per tempo e in solitaria è il motivo, a mio parere, del verificarsi delle due cause di fallimento: pigrizia sociale e frazionamento delle responsabilità.

Un Leader, quindi, quando stabilisce la data del brainstorming, dovrebbe preoccuparsi di chiedere ad ognuno di preparare le sue idee da solo (al massimo in coppia con un altro collega), per poi esporle nell'incontro di gruppo come frutto di un suo lavoro indipendente e pregresso, che godrà delle regole generali del brainstorming: libertà di espressione (anche di idee apparentemente assurde) e assenza di giudizio da parte degli altri.

Se fatto in questo modo, un brainstorming comunque garantisce la condivisione - esperienza fondamentale che ogni singolo dovrebbe vivere quando appartiene a un gruppo di lavoro - e al tempo stesso responsabilizza ogni componente del team a dare il suo meglio.