Marco Boscarato

Cucina, cibo, storie. Poesia!

Marco Boscarato

Cucina, cibo, storie. Poesia!

Breve cronaca di un primo febbraio 2022, Italia

2022-02-02 11:26:50

Primo febbraio 2022, ospedale di nondicodove. Accompagno mia mamma per un esame, è mattina presto, serve un passaggio in auto.

Questo è un racconto di fatti veri, cronaca di incontri, di due incontri. Uno di persona, uno al telefono. Ed è il racconto della fiducia, quella che il sole prima o poi tornerà a scaldarci, il cuore e l'anima.

Breve cronaca di un mattino di primo febbraio 2002, Italia


Primo febbraio 2022, ospedale di nondicodove, Italia.

Accompagno mia mamma per un esame, è mattina presto, serve un passaggio in auto.

Provo a entrare con il mio certificato verde. Ma no, non si può, solo accompagnatori. E solo un quarto d’ora prima dell’esame, non un minuto prima.

All’ingresso due poliziotte private a verificare: “Ha il certificato signora? A che ora l’appuntamento?”

All’ingresso, un ampio androne freddo. Per riscaldarlo, una misera lampada a fungo a fianco delle due inservienti, in grado di coprire un paio di sedie. Le altre sedie, una cinquantina, intorno.

Vuote, occupate da qualcuno con lo sguardo perso nel vuoto. Oppure da un cartello che invita a non sedersi per due sedie ogni tre, a tenerle vuote.

A ondate, una umanità dolente a piedi o in carrozzina che si avvicina alla soglia. “Vorremmo bere prima un caffè e poi abbiamo l’appuntamento”. Non si può. “Devo passare prima al CUP, non so se faccio in tempo”. Può entrare solo un quarto d’ora prima.

È freddo. Mi avvicino al fungo riscaldante, mia mamma ci sta mettendo più tempo del previsto.

Colgo lo sguardo della poliziotta al controllo, perso anch’esso nel vuoto, il trucco degli occhi un po’ sfatto. Tra un passaggio della soglia e un altro, uno sguardo un po’ più attento, mi nota, scambiamo due parole.

“È difficilissimo qui. Se la prendono con noi, ma anche noi siamo vittime. Gli dico che mandino una pec alla direzione dell’ospedale, che noi non c’entriamo. Qui geliamo ogni giorno e ci prendiamo parole.”

Vedo agitarsi una emozione nel suo muoversi e nello sguardo, percepisco in lei il senso che coglie quando capiamo che qualcuno ci sta ascoltando.

“Per un tozzo di pane, poi. Lavoro e non mi resta niente. Il costo della benzina per venire al lavoro, le bollette. I tamponi. Ogni due giorni mi devo fare un tampone.”

Mi guarda in modo più deciso. “Ho 59 anni. Tra dieci giorni mi sospenderanno.”

Torna a guardare nel nulla, controllando codici QR e rispondendo che non si può, il caffè, non si può.

 “Sono allergica a un sacco di cose: nichel, zinco, … mia suocera è rimasta mezza paralizzata dopo la terza… io non me la faccio, non me lo faccio. Ho paura. Siamo un paese di pecore, all’estero stanno togliendo tutto ma qui andiamo al contrario, ho colleghe che sono in regola ma sono a casa ammalate, amici che stanno cercando di infettarsi, … in che paese viviamo… Non me la faccio. Ho paura … ”

Guarda per un momento per terra, poi verso l’ingresso da cui continuano a entrare vecchi, giovani, uomini, donne, in carrozzina, trasportati, a piedi. La mascherina, mettete la mascherina sul naso. Mille sguardi persi nel vuoto, il sole che filtra dalla porta di ingresso, il marmo freddo che ci circonda, ampio, avvolge noi che parliamo e le persone dallo sguardo vuoto e le sedie vuote, nell’androne di ingresso.

Poi guarda me. “Ho un mutuo da pagare per la casa. Sono mesi che non lo sto pagando. Sarà quel che sarà. Mi porteranno via tutto. Che se lo prendano.” Nello sguardo, cambia la luce. Come un lampo, una impressione evidente di fierezza, e dignità.


Torna mia mamma dal suo esame: dopo oltre mezz’ora di attesa non ha ricevuto il dischetto del risultato, che doveva uscire dopo dieci minuti, si è stufata e arriva.

Saluto la poliziotta, le faccio il mio in bocca al lupo.

Che crepi, il lupo. O che almeno smetta di mordere.

Torno a casa, altre faccende.

Ricevo una telefonata, verso tarda mattina. Il sole alto aveva ormai scaldato i miei piedi e tutto il resto del corpo, ma nel cuore mi era rimasto lo sguardo desolato della donna che avevo incontrato: avrei voluto fare qualcosa per lei.

Al telefono è una persona a cui voglio molto bene, con cui ho un legame d’affetto profondo.

Mi dice, al telefono: “Non se ne può più. Restrizioni, controlli, mascherine. È un continuo freno, non si riesce a fare nulla senza permessi.” Lui è convintamente in regola, dotato del certificato verde da quando è stato possibile farlo. “Ti dico io quello che si dovrebbe fare, te lo dico io, anche se so che tu non sei d’accordo. Obbligo per tutti. Per tutti. Che tutti se lo facciano, e via tutte le restrizioni. Così avremo risolto il problema”.

Ascolto, ma non ho neppure la forza di argomentare, mi resta nell’anima l’immagine di quella donna che, al mattino, mi guardava desolata, tra un controllo e una risposta a un vecchietto, fronteggiando una coda dantesca di umanità, ciondolante e zoppicante.

La persona che mi ha chiamato mi è molto vicina. La capisco, capisco il suo disagio, ma non sono d'accordo con lui. Termino la telefonata e penso: la non-conoscenza. La mancanza di conoscenza.

Se chi si ferma alla zona media, la comfort zone, quella del “ma che problemi ti fai”, quella che ti fa pensare di essere al sicuro in un mare in tempesta solo perché sei all’interno di una barca in una stanza chiusa e non ti arrivano addosso le onde della tempesta, approfondisse lo sguardo verso l’alto o verso il basso le cose sarebbero forse diverse.

Verso l’alto, verso i motivi per cui tutto questo accade e verso le sue logiche prive di un fondamento apparente.

Verso il basso, verso quelle persone che sono nella barca fuori coperta, che sentono le onde sferzargli sul volto e rischiano di essere letteralmente portati via dalla tempesta, quelle persone per le quali è difficile non provare vicinanza  ed empatia, a meno di non avere chiuso, noi, le porte.

Ma verso l’alto ci sono aerei di guerra che rilasciano scie, torbide, stridenti, disturbanti, di continuo. Una cacofonia assordante che esprime una unica voce rombante e rende difficile capire, se non si fa uno sforzo. Verso l’alto è difficile ascoltare.

E verso il basso fa male guardare, è meglio pensare che non ci riguarda.

Nella zona media le informazioni sono rassicuranti: si può andare dove volete, al cinema o a mangiare una pizza, state attenti ai numeri che crescono, lascio un paese unito, Sanremo. Basta che seguiate le regole, Hic Sunt Leones.

Ma verso l'alto succede qualcosa, non avrebbe senso la confusione e la falsità. E verso il basso c'è una umanità che soffre. E tutto questo ci riguarda, che lo si voglia o no.

La mattina termina, ma questi due incontri mi sono rimasti dentro, nel fondo dell’anima, appiccicati come il chewing-gum che da ragazzi trovavamo sotto i banchi di scuola, masticati da chissà chi, invisibili ma presenti, induriti dal tempo.

Il sole è ormai alto e la giornata invernale è insolitamente calda. Il calore e la luce, assieme all’aria, riempiono i polmoni. Si respira bene, respirare è piacevole.

Il sole è simbolo di quello che può, anzi, deve tornare, tornerà.

Ogni giorno, ogni Santo giorno, il sole torna. Non sarà gelo per sempre. Lo percepisco già, nell’anima, accanto ai due episodi della mia mattina.

È importante volersi bene.

by Marco Boscarato