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La peste e “Il gran contagio di Verona“: era l'anno 1630

2020-12-02 15:58:42

La peste a Verona nel 1630, raccontata dal medico e scrittore veronese - Francesco Pona - nella sua opera “Il gran contagio di Verona“ pubblicata nel 1631

In questo periodo dell'anno 2020 che stiamo vivendo con il “Coronavirus”, ho fatto alcune riflessioni. Mi è venuto in mente il romanzo “I Promessi Sposi”, letto ai tempi della scuola, con il quale Manzoni ci ha parlato di “quella calamità”.

Ho voluto documentarmi su come è stata vissuta l’epidemia nella mia città ed oggi desidero condividere con te questo articolo.


Prima di parlarti di come è arrivata e come è stata vissuta la peste a Verona, voglio esprimere come sono forti le analogie della peste vissuta nel 1630 con l’attuale “Coronavirus”, a distanza di ben 390 anni:

- la sottovalutazione del pericolo
- la scarsa attenzione verso l’epidemia

- i comportamenti inadeguati delle autorità e del popolo


Ma sai cosa ho scoperto? Sei curioso di saperlo?


Forse non sai che……

Ho scoperto che della peste del 1630 ne parlò per prima un medico e scrittore veronese, già nel 1631, e quindi ancora prima di Alessandro Manzoni con “I Promessi Sposi”; anzi, sembra che Manzoni si sia servito di questo testo per scrivere della peste nel suo romanzo. Di questo scrittore te ne parlo in seguito e condivido testimonianze del suo libro.


Ora torniamo alla peste a Verona.

“Verona e la so storia….. in che ano gh'è stà la più grande epidemia de peste a Verona? Era l’àno 1630”.

La peste dilagò a Verona. Era l’anno 1630.

A raccontare di quanto è successo nella città di Verona è stato il medico e scrittore veronese – Francesco Pona - che nel 1630 ha scritto due opuscoli di carattere tecnico in merito alla malattia e l’anno successivo, nel 1631 ha pubblicato “Il Gran contagio di Verona”, la sua opera più nota. Il libro ricostruisce le cause storiche, geografiche ed ambientali del “Gran morbo” e restituisce lo scenario apocalittico lasciato dal contagio.


Francesco Pona (Verona, 1595-1655)  -  “Il Gran contagio di Verona” (1631)


Come è arrivata la peste a Verona?

La peste arrivò nel vecchio continente nel XIV secolo e da lì non se n’è più andata, diventando endemica. Conseguenza della globalizzazione di allora, la malattia aveva percorso la via della seta sulle navi dei mercanti genovesi che avevano come scalo commerciale la città di Caffa in Crimea, dove il batterio era molto diffuso.

Il paziente zero fu il soldato Francesco Cevolini, reduce dalle battaglie nel mantovano tra Veneziani e Imperiali. Cevolini giunse a Verona già infermo; prese una camera da una tale Lucrezia di cognome Isolana in Corte Regia e venne subito visitato da Adriano Grandi, medico di Collegio che non lo giudicò malato di peste.

Il 5 marzo, a distanza di soli cinque giorni dal suo arrivo, Cevolini morì senza che nessuno ne conoscesse le cause. Le autorità veneziane non diedero l’allarme e fu eseguita la consueta sepoltura: indicarono l’età del defunto ma non la causa del decesso perché non si volle creare il panico e fermare l’economia. Subito dopo anche la povera locandiera e le sue figlie fecero la stessa fine e con loro anche tutti gli abitanti della contrada.


I medici, che avevano diverse opinioni in merito, vollero esaminare i cadaveri. Alcuni negarono che si trattasse di peste, altri ne erano fermamente convinti. Ma non ci fu il tempo per aprire un dibattito perché il contagio si espanse in maniera catastrofica in tutta la città.

Un estratto del libro "Il Gran contagio di Verona"



Le case colpite dal morbo vennero chiuse e contrassegnate con una vistosa croce. Gli edifici già abitati dai deceduti vennero affumicati bruciando legni resinosi; le pareti delle stanze vennero imbiancate con calce viva. I provvedimenti non vennero accolti benevolmente da tutti perché erano ancora molti a dubitare che si trattasse di peste. La maggior parte degli abitanti invece si resero subito conto della gravità della situazione e reputarono sensate e giustificate le misure adottate dalle autorità.


La Serenissima corse ai ripari e nominò Provveditore alla Sanità – Aloise Vallaresso – che applicò una legislazione straordinaria con l’emanazione di un Decreto con provvedimenti ancora più restrittivi. La città venne chiusa: fu fatto divieto a chiunque di entrare, vennero espulsi gli accattononi ed i mendicanti. Si instaurò un clima di grande tensione; chi si oppose  era “sotto pena di corda, bando, prigion, galera, confiscatione de’ beni, et anco della vita…”.

Nonostante i provvedimenti la peste dilagò e pertanto Ludovico della Torre, un provveditore del tempo, propose di lasciar aperte alcune “hostarie per ragionevoli intervalli per accogliere solo i forestieri in grado di fornire autentiche fedi di luoghi sani”. Aloise Vallaresso chiese anche la nomina di altri funzionari per poter affrontare l’emergenza. Il Consiglio dei Dodici accolse l’istanza del Provveditore alla Sanità ed elesse alcuni soggetti:

-due persone addette al coordinamento dei medici
-due persone per il controllo del trasporto degli infetti al Lazzaretto
-due persone per la sepoltura dei morti
-due persone addette alla pulizia delle strade
-due persone al sostegno dei poveri ammalati
-due persone addette alla registrazione delle spese sanitarie
-due persone addette alla sanificazione delle case degli infetti
-due persone addette all’inventario degli oggetti dei malati
-tre addetti alle faccende del lazzaretto

Si trattò di un’organizzazione sanitaria abbastanza complessa per i tempi, se si tiene conto che le conoscenze scientifiche erano poche e che alcune norme igieniche basilari, come l’importanza del lavaggio frequente delle mani, sono state  “scoperte” solo a metà Ottocento dal medico ungherese Ignác Semmelweis.

La morte colpì tutti democraticamente, poveri ma anche famiglie nobili, come i Sagramoso, i Verità e i Malaspina. Nemmeno il clero rimase indenne: morì il vescovo Alberto Valier e con lui anche cinquanta dei settanta ecclesiastici che componevano la curia. Anche il monastero di San Zeno si ridusse a pochi monaci.

Si susseguirono le ordinanze per arginare il contagio; la sepoltura dei morti doveva avvenire immediatamente ma furono più i roghi che le tombe mancando luoghi, ministri e modi per interrare i cadaveri.

Tutto venne coperto, tutto venne isolato, non esisteva più traccia della vita quotidiana di prima.

La popolazione da 50.000 scese a poco più di 20.000 abitanti e quel che rimase fu solo miseria e desolazione. La città fu invasa da un tetro silenzio, si sentiva solo il rumore dei carri, condotti dai monatti, che trasportavano i morti ed i malati sulle rive del fiume da dove venivano imbarcati per il Lazzaretto.



Il Lazzaretto di Verona

Il progetto del Lazzaretto risale al 1548 e fu opera di Giangiacomo Sanguinetto, anche se sembra possa essere un ridimensionamento di un preesistente progetto di Michele Sanmicheli. Unica cosa certa è che i lavori iniziarono nel gennaio 1549, dopo dieci anni dal bando pubblico.

Fu costruito a Verona in località Porto San Pancrazio, vicino all’Adige, che era adeguatamente distante dalla città. Fra varie vicissitudini, i lavori di costruzione si conclusero solo novant’anni dopo, nel 1628. Il Lazzaretto era in grado di accogliere fino a 5.000 anime moribonde.


Lazzaretto di Verona

Il gran contagio cessò nel mese di novembre del 1630 e lasciò dietro di sé una situazione assai difficile.

Nel libro di Francesco Pona è riportato il numero di abitanti, suddiviso per quartieri, prima e dopo la peste. Per dare un’idea della gravità, nel quartiere di Sant’Eufemia morirono 438 persone delle 656 censite nel 1627, a San Giorgio 701 su 873.

“Descrittione delli habitanti”


La caduta dei livelli demografici comportò una flessione della domanda di derrate agricole e di conseguenza un calo dei prezzi; si ebbe così una riduzione dei terreni coltivati ed un aumento della superficie di pascolo.

La depressione economica si trascinò fino al secolo successivo e così anche la ripresa demografica. Si dovette arrivare al 1756 per avvicinarsi al numero di abitanti pre-peste.


I veronesi confermarono la loro grande fede e rinnovarono il voto di riconoscenza già fatto nel 1480 nei confronti di San Rocco, impegnandosi ad effettuare una processione-pellegrinaggio al Santuario dedicato al Santo che si trova tra Quinzano e Parona, da effettuarsi il 16 agosto di ogni anno.

San Rocco, protettore della peste - Chiesa di San Rocco tra Quinzano e Parona



by Stefania Gelmetti