Guido Iafrate

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SPESA PENSIONISTICA: L’USCITA DEI BABY BOOMERS RADDOPPIA I COSTI È l'allarme lanciato dall'Inps, che prevede un incremento delle uscite legato alle dinamiche demografiche in funzione dell'uscita dal mondo del lavoro dei baby boomers. La spesa pensionistica è destinata ad essere sempre più imponente. Secondo le proiezioni pubblicate dall’Ufficio Parlamentare di bilancio sulla base del Documento di programmazione economica del 2018, l’incidenza sul Pil passerà dal 15% del 2015 al 20,5% del 2020, con un aumento di cinque punti percentuali in vent’anni. Il dato potrebbe essere anche più negativo, visto che i conti sono fatti al netto dell’aggravio comportato dagli anticipi legati a quota 100 e al nuovo Opzione donna. Dopo il 2040, poi la curva ricomincerà a scendere, fino a tornare ai livelli attuali nel 2070, grazie all’applicazione generalizzata delle regole contributive, all’adeguamento automatico dei requisiti minimi di pensionamento alla speranza di vita. Queste previsioni sono legate a filo stretto con le dinamiche demografiche che porteranno all’aumento del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati, solo in parte compensato dall’innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento avviato con la riforma Fornero delle pensioni. Spesa pensionistica: l’effetto dei baby boomers L’impennata della spesa pensionistica dipende dalla fuoriuscita dal mondo del lavoro dei baby boomers, ovvero coloro che sono nati tra il 1945 ed il 1965 e che hanno raggiunto – o si accingono a farlo – i requisiti per l’età pensionabile. In base alla proiezione Istat, la transizione demografica ci dice che tra vent’anni ci saranno 18,8 milioni di cittadini over 65 anni, 5 milioni in più di oggi, contro una popolazione in età da lavoro (15-64 anni) che si sarà ridotta a sua volta di 5 milioni (a 33,7 milioni). Questo aumento di persone a riposo è destinato a prevalere sull’effetto di contenimento delle pensioni determinato dal graduale passaggio alle regole di calcolo contributivo sull’intera vita lavorativa. A questo va aggiunto che le pensioni erogate saranno in larga parte calcolate con sistema retributivo o misto, che significa che il vitalizio sarà solo parzialmente coperto dai contributi effettivamente versati dai lavoratori. È emblematica la prospettiva, riportata da Il Sole 24 Ore, riguardo al fondo pensioni lavoratori dipendenti (Fpld), che rappresenta il 45% dell’intera spesa pensionistica e che è il principale fondo della gestione Inps. Dagli 8,6 milioni di pensioni in previsione per il 2019, per un totale di quasi 143 miliardi, si passerà a 9,3 milioni di pensioni per una spesa di 297 miliardi di euro. Il boomerang dei baby-boomers: quale effetto per le pensioni del futuro? Di per sé, infatti, la fuoriuscita dal mondo del lavoro di un’intera generazione non sarebbe un problema se fosse compensata da un egual numero di nuovi lavoratori con redditi tali da coprire la spesa previdenziale. Invece, la denatalità, la crisi economica che ha ridotto la produttività, la discontinuità delle carriere rischiano di mettere un’ipoteca sulle pensioni future. La spesa per la previdenza, infatti, viene coperta essenzialmente dai contributi dei lavoratori ed eventualmente integrata dalla fiscalità generale. Se le uscite superano le entrate, ci sono due vie per riportare l’equilibrio: aumentare i versamenti o ridurre la spesa. Per fronteggiare l’innalzamento della spesa pensionistica, a fronte della straordinarietà del numero di cessazioni tra i baby boomers, non si può escludere che, nel medio periodo, arrivi qualche ritocco alle entrate – che vuol dire più contributi o più tasse da versare – o alle uscite – che significherebbe riduzione del vitalizio. A pagare le conseguenze sarebbero soprattutto i più giovani, per i quali si prevedono pensioni pari al 60% del reddito da lavoro come effetto dell’applicazione del metodo contributivo puro. Ciò vuol dire che ci sarà un’intera generazione di lavoratori che si troverà, da un giorno all’altro, a dover vivere con poco più di metà del reddito a cui era abituato. Alla luce delle

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GDPR 2016/679 - Privacy Il significato di sicurezza informatica in 3 elementi fondamentali Qui di seguito sono dunque esplicitati i tre aspetti che focalizzano l’attenzione sulla corretta e adeguata gestione della sicurezza. Disponibilità dei dati, ossia salvaguardia del patrimonio informativo nella garanzia di accesso, usabilità e confidenzialità dei dati. Da un punto di vista di gestione della sicurezza significa ridurre a livelli accettabili i rischi connessi all’accesso alle informazioni (intrusioni, furto di dati, ecc.). Integrità dei dati, intesa come garanzia che l’informazione non subisca modifiche o cancellazioni a seguito di errori o di azioni volontarie, ma anche a seguito di malfunzionamenti o danni dei sistemi tecnologici. Riservatezza informatica cioè gestione della sicurezza in modo tale da mitigare i rischi connessi all’accesso o all’uso delle informazioni in forma non autorizzata e ovviamente data privacy.

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Garante Privacy, +115% le sanzioni: 8,1 milioni di euro nel 2018 Nel 2018 sono stati adottati 517 provvedimenti collegiali, 28 sono stati i pareri, 130 i ricorsi decisi, 707 le violazioni amministrative contestate e 8,1 mln di euro le sanzioni amministrative riscosse. Sono questi i numeri principali dell'attività svolta nel 2018 dal Garante per la protezione dei dati personali.

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