Guido Iafrate
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CASH CAUTELATIVO PER COMBATTERE L’INCERTEZZA, MA UN TERZO DEGLI ITALIANI È SCOPERTO È quanto emerge dalla ricerca "Dal cash cautelativo alla protezione" realizzata dal Censis per il Forum ANIA-Consumatori. La differenza tra chi riesce a risparmiare e chi invece non ce la fa sta però creando una nuova forma di disuguaglianza. Per affrontare le incertezze del futuro, gli italiani puntano sul cash cautelativo. Secondo il Censis, nel 2018 le famiglie hanno accantonato un tesoretto composto da 4,2 miliardi di euro di attività finanziarie, di cui 1,4 miliardi è rappresentato da contanti. Al di là del valore assoluto, è interessante notare il tasso di crescita: la liquidità è cresciuta, infatti, del 7,5% in più rispetto al 2015 e, rispetto al 2008 – anno della crisi – parliamo di 201 miliardi in più. Perché aumenta il cash cautelativo? Accantonare risparmi sotto forma di liquidità è la “terapia” individuata dalle famiglie per tutelarsi dalle incertezze. Ben il 64,1% degli italiani ha accantonato soldi, di cui il 66,1% lo fa per fronteggiare spese impreviste e il 52,3% per sentirsi le spalle coperte. La maggiore spinta all’incremento del risparmio arriva dalla consapevolezza che il welfare pubblico non sempre è accessibile. Il 72,7% degli italiani ha infatti dovuto ricorrere all’offerta privata per una prestazione di welfare almeno in una occasione nel corso dell’anno, anche se sulla carta il servizio era disponibile nel sistema pubblico, a titolo gratuito o a costo contenuto (il dato sale al 75,9% nel Sud). Il 42,9% degli italiani afferma che, benché le prestazioni di cui hanno bisogno siano disponibili nel sistema di welfare, nella realtà è difficile accedere nel momento in cui se ne ha effettivamente bisogno. Il 40,7% ritiene che nel pubblico non ci sia tutto ciò di cui ha bisogno e per questo ricorre al privato. Solo il 16,3% sostiene che non c’è bisogno del privato perché il pubblico ha un’offerta adeguata. Cash cautelativo ma non per tutti Non tutte le famiglie riescono a risparmiare in modo da trovarsi coperte in caso di necessità. Il 35,9% degli italiani non riesce ad accantonare nulla, e quasi un 50% riesce a metter da parte tra il 5% ed il 15%. Ciò vuol dire che, su un reddito mensile di 1500 euro, la metà degli italiani riesce ad accantonare tra i 75 ed i 225 euro mensili. Solo un 10% riesce ad accantonare tra il 15% e il 20%, il 4,9% oltre il 20%. Nessuno, però, è al riparo dalle spese private per prestazioni di welfare, ma meno si riesce a risparmiare più questo pesa sui budget familiari. Infatti, le spese private per il welfare pesano sui redditi per l’81,5% delle famiglie e riguardano di più le famiglie che non riescono a risparmiare (85,6%) rispetto a chi invece risparmia (79,2%) o risparmia tanto (76%). Secondo il Censis, questo è il nuovo volto della disuguaglianza cresciuta dopo la crisi. Welfare integrativo, serve più conoscenza La fotografia del Censis conferma la tendenza degli italiani a cercare protezione nel denaro immobilizzato, piuttosto che negli strumenti del welfare integrativo. Rispetto a questi ultimi, c’è ancora una scarsa conoscenza: solo il 20% degli italiani conosce bene gli strumenti della sanità integrativa, il 23,3% quelli della previdenza complementare e il 15,6% quelli di tutela dalla non autosufficienza. Se il 66,5% dei risparmiatori mostra disponibilità a prendere in considerazione gli strumenti del welfare integrativo, il 53,9% dichiara di voler capire bene cosa ottiene in cambio dell’investimento. C’è dunque un gap culturale da colmare, per consentire alle famiglie di assumere scelte consapevoli ed efficienti nella gestione del proprio patrimonio. Il cash, infatti, non è sempre la soluzione migliore all’esigenza di protezione. Risparmiare, infatti, significa scegliere di rinunciare ad utilizzare una parte del proprio reddito. Questa rinuncia, tuttavia, se fatta in modo approssimativo, rischia di non apportare i benefici sperati, con l’effetto che, in caso di bisogno, l’accantonamento non sia neanche sufficiente a coprire la spesa.
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