Marco Driussi

Founder Starter

Connessi ma sconnessi...

2019-06-23 16:39:28

Tendi l'orecchio attentamente a quello che si sente spesso tra le persone nei luoghi pubblici e leggi il mio articolo su un tessuto sociale che è bramoso e grondante di desiderio di rapporti umani ma spesso non riesce a uscire dai propri timori per incontrare gli altri!

Vorrei ma non posso... vivere con gli altri

Capita anche a te di sentire persone che affermano di avere un profondo desiderio di incontrare persone interessanti, di quelle che non si limitano a passare la propria giornata sul divano, facendo zapping tra un canale e l'altro oppure parlando solo di calcio o altri temi che vanno per la maggiore?

Beh a me capita spesso. Sento le discussioni tra le persone, leggo i post sui social e in generale mi sento frustrato. Mi sento così perché mi pare che ognuno di noi sia come immerso nella propria bolla mentale che non permette di vedere quello che c'è attorno a noi. Oggi ad esempio ho pensato a quanto mi capita di viaggiare, sia in posti lontani, sia per una qualche breve escursione domenicale. Poi penso alle volte che mi è capitato di incontrare persone con cui avrei voluto conoscere e condividere i luoghi che ho visto con i miei occhi. Un desiderio ardente di condivisione e di conoscenza perché, ne sono profondamente convinto, vedere quello che sta attorno a noi, insieme ad altre persone, è qualcosa di meraviglioso, qualcosa che toglie il fiato. Per parafrasare una pubblicità di patatine chips, se scopri da solo, godi solo a metà. 


Vivere è rischiare

Ma perché capita che le persone dicano che non ci siano individui in gamba con cui potersi confrontare, incontrare e sostanzialmente vivere assieme? Credo che il problema fondamentale sia che abbiamo paura di rischiare. Tutte le volte che noi ci esponiamo agli altri, con i nostri pensieri, credenze, timori, sostanzialmente prestiamo il nostro fianco alle critiche, ai giudizi e... al dispiacere. Tutti noi siamo qui in questi social, spesso a distillare perle di saggezza. Poi succede che chiudiamo il nostro computer e rimaniamo nella cella monacale dei nostri pensieri. Ancora più spesso rimaniamo a pensare a quanto in passato siamo stati feriti dagli altri e che quindi, non vale la pena di scambiare due parole con un lui o una lei, con un anziano o con un giovane che comunque sia non potrà mai capirmi. Inoltre è sempre il mondo che non mi capisce, mentre io sono una persona perfetta che non commette mai errori. Quindi tanto vale rimanere nel nostro acquario virtuale in cui non succede mai nulla di cattivo, al massimo posso bloccare i contatti che - apparentemente - non sono altro che una foto su uno schermo.

In realtà - come raccontato in un libro dal titolo generazione app - la sensazione di solitudine che spesso capita di provare, sembrerebbe derivare dalla nostra incapacità di entrare profondamente in contatto con gli altri, in termini emozionali. Non lo facciamo perché gli altri possono farci del male e al tempo stesso non abbiamo voglia di essere ammorbati dai problemi altrui. In realtà, se ben ci pensiamo, non c'è nulla di più bello di una sana risata assieme a qualcuno, ma anche di un abbraccio e di qualche lacrima spesa con i propri amici o persone a noi care. 

Ci penso, penso spesso a un contesto sociale in cui, come dice lo psicanalista Pietropolli Charmet, sembra che noi siamo sconosciuti a noi stessi e sconosciuti agli altri al tempo stesso. Ma se noi non sappiamo chi siamo, perché non ascoltiamo le nostre emozioni, e non sappiamo chi sono gli altri, perché non li ascoltiamo, come facciamo a costruire relazioni umane?