Costanza Stanco

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Costanza Stanco

Perché in Italia la mortalità apparente da coronavirus è più elevata Nel nostro Paese il rapporto tra contagiati e deceduti per il coronavirus sembra maggiore rispetto al resto del mondo. Da che cosa dipende? coronavirus-la-letalita-in-italia Coronavirus e mortalità apparente: un fattore decisivo è la situazione nelle terapie intensive. | SHUTTERSTOCK Mentre scriviamo, in Italia si registrano 21.157 casi di COVID-19 (totali, dall'inizio dell'epidemia) e 1.441 decessi, ma sono dati in continuo aggiornamento. In questo momento, la mortalità apparente del nuovo coronavirus (o letalità apparente, come direbbero gli esperti: per intenderci, il numero di pazienti deceduti in rapporto al totale dei contagiati) è del 6,8%, ben oltre il 3,4% globale dichiarato dall'OMS. Da che cosa dipende tutto questo? DAI CASI CHE CI PERDIAMO. Il dato è sicuramente sovrastimato perché i casi identificati sono inferiori a quelli reali. Questo dipende sia dalle caratteristiche del COVID-19, che in buona parte dei casi si presenta con una sintomatologia non grave, sia dal fatto che - escludendo i primi giorni in cui in Italia si eseguivano controlli a tappeto su tutta la rete di contatti dei pazienti positivi - ora si effettuano tamponi solo sui sintomatici. In questo modo, si restringe il denominatore alle sole persone con sintomi palesi o che si trovano in ospedale, e la mortalità apparente è più alta. Come specificato nei giorni scorsi dall'Istituto Superiore di Sanità, stratificando per età i tassi di mortalità in Italia, si vede che nel nostro Paese, in tutte le fasce di età si muore di coronavirus meno di quanto si morisse in Cina nelle fasi cruciali dell'epidemia. Per esempio in Italia al 4 marzo la mortalità (o, in termini più corretti, la letalità, ossia il numero di decessi sui casi confermati) tra gli over 80 era del 10,9%; il 24 febbraio in Cina era del 14,8% (ultimo dato disponibile della commissione congiunta Cina-OMS). Perché il tasso di mortalità da COVID-19 non è preciso DA FATTORI DEMOGRAFICI. Come sentiamo spesso ricordare in questi giorni, l'Italia ha la popolazione più anziana d'Europa: gli over 65 rappresentano il 22,8% della popolazione totale (13,8 milioni di persone: dati Istat 2019). Secondo l'Istituto Superiore di Sanità, l'età media dei deceduti a causa del nuovo coronavirus è 81 anni; in due terzi dei casi, i pazienti avevano patologie preesistenti, eventualità più frequente in una popolazione costituita in buona parte da anziani. DALLA PRESSIONE SUL SISTEMA SANITARIO. Il dato sulla mortalità apparente dei pazienti con COVID-19 è andato peggiorando con l'avanzare dell'epidemia: ciò è dovuto, come i medici continuano a ripetere, a un numero senza precedenti di persone che contemporaneamente hanno bisogno di cure nelle terapie intensive, reparti già sfruttati al massimo della loro capacità. In condizioni così critiche si dà la precedenza a pazienti che hanno maggiori possibilità di salvarsi, e questo fa sì che la qualità delle cure, nonostante gli sforzi inimmaginabili compiuti dal personale sanitario, subisca una flessione: è il massimo che si può fare in una situazione di emergenza estrema. Ecco perché #iorestoacasa è un atto di responsabilità morale: esponendo se stessi e gli altri a un rischio di contagio si contribuisce al sovraffollamento dei reparti di terapia intensiva, incidendo inevitabilmente anche sul numero di pazienti salvati. DAL CONTEGGIO DEI PAZIENTI DECEDUTI. Il numero di vittime da COVID-19 dipende infine dallo zelo con cui si contano i pazienti morti effettivamente per il nuovo coronavirus, e dalla possibilità di compiere questo tipo di analisi in situazioni in cui i decessi aumentano di ora in ora. Solo alla fine di questo incubo potremo ragionare su dati reali.

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COVID-19: la mortalità sembra davvero più elevata nelle aree più inquinate Uno studio conferma che nelle aree a più alta concentrazione di polveri sottili il tasso di letalità della COVID-19 è maggiore. inquinamento-atmosferico-e-covid-19 Si accumulano le evidenze scientifiche di un legame tra tasso di smog e gravità dell'epidemia di COVID-19. | SHUTTERSTOCK Uno studio dell'Università di Harvard aggiunge prove solide al presunto legame tra inquinamento atmosferico e gravità dell'epidemia da COVID-19. Secondo la nuova analisi, le aree geografiche con le più elevate concentrazioni di polveri sottili 2.5 (le più fini, capaci di entrare negli alveoli polmonari, dove avviene l'ossigenazione del sangue) sono anche quelle con il tasso di letalità più elevato da COVID-19. Ci sarebbe insomma un legame statistico molto solido tra l'esposizione a lungo termine al particolato atmosferico e la probabilità di incorrere nelle forme più gravi della malattia. COVID-19: l'inquinamento gioca un ruolo? UN'IPOTESI CHE SI FA STRADA. La ricerca (consultabile qui), che è stata sottomessa per la revisione al New England Journal of Medicine, fa seguito ad altri studi che hanno visto nello smog un ulteriore fattore di rischio per gli esiti della COVID-19. Uno di questi, condotto in Italia e pubblicato il 4 aprile sulla rivista scientifica Environmental Pollution, conclude che l'alto livello di inquinamento atmosferico sulla Pianura Padana (una delle aree più inquinate d'Europa) potrebbe aver contribuito all'elevata letalità dell'infezione in questa zona geografica. Gli scienziati di Harvard hanno raccolto i dati sul particolato atmosferico in oltre 3000 contee statunitensi negli ultimi 17 anni, e li hanno confrontati con il numero di decessi per COVID-19 in ciascuna contea (una contea è un tipo di suddivisione territoriale nei singoli Stati americani). È emerso che un aumento di un microgrammo per metro cubo di PM 2.5 è associato con un incremento del 15% del tasso di letalità della COVID-19. In altre parole, basta un piccolo aumento del livello di polveri sottili (un microgrammo per metro cubo corrisponde a una singola unità) per vedere notevolmente aumentare il rischio di conseguenze gravi della COVID-19: l'esposizione prolungata a questi inquinanti era già stata collegata a un incremento di morte per qualunque causa, ma questo aumento appare 20 volte più elevato per le morti da coronavirus. Polveri sottili: l'inquinamento sulla Pianura Padana NESSUNA ATTENUANTE. Lo studio ha tenuto in considerazione molti altri fattori che possono incidere sulla salute e sulla qualità delle cure, come il livello di povertà, l'abitudine al fumo, l'obesità, il numero di tamponi per COVID-19 compiuti e la disponibilità di posti letto negli ospedali. Dall'analisi è stata inoltre rimossa la città di New York, che aveva una tale concentrazione di casi che avrebbe fatto sballare ogni statistica, e per lo stesso motivo sono state escluse anche le contee con meno di 10 casi confermati di infezione da coronavirus. Inoltre, la ricerca ha considerato l'aggregazione di casi e non i dati sui singoli pazienti (con le loro caratteristiche sanitarie individuali): un limite che andrà colmato da successivi studi. Non ha chiarito se le polveri sottili abbiano un ruolo anche nella diffusione del virus e nella facilità di contagio, ma il collegamento con il tasso di letalità sembra statisticamente molto solido. Nel 2003, uno studio dell'Università della California di Los Angeles aveva concluso che i pazienti con la SARS che vivevano nelle zone più inquinate della Cina avevano il doppio delle probabilità di morire per l'infezione rispetto a chi abitava in aree poco inquinate. FATTORE DI RISCHIO. Respirare polveri sottili infiamma e danneggia il rivestimento ciliato che protegge le vie respiratorie, rende

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