Cinzia Giluni

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SINDROME DI STOCCOLMA

2019-05-27 06:43:56

DIPENDENZA AFFETTIVA

Oggi ho deciso di affrontare un tema che probabilmente molti di voi non conoscono o per lo meno non la conoscono come sindrome di Stoccolma ma purtroppo è qualcosa che può colpire molti.


La sindrome di Stoccolma viene identificata agli inizi degli anni 70 in seguito ad una rapina avvenuta nei pressi di Stoccolma.

Cosa aveva di particolare questa sindrome?


Perché ho deciso di parlarne?

GLI INIZI

Il primo caso di Sindrome di Stoccolma documentato si è avuto nel 1973 nei pressi di Stoccolma in seguito ad una rapina da parte di due detenuti in una banca con quattro ostaggi, tre donne ed un uomo.


Gli ostaggi sono stati liberati dopo circa 130 ore con l intervento della polizia che ha usato gas lacrimogeni e senza che gli ostaggi stessi avessero subito danni fisici da parte dei sequestratori.

Durante la prigionia gli ostaggi avevano.maturato una sorta di comprensione e compassione per i sequestratori, avevano iniziato a mettersi nei loro panni, uno di loro ad esempio che era stato ferito alla gamba era grato ai sequestratori x aver sparato solo alla gamba e di non averlo ucciso.


Seppure tutto questo può risultare strano, di fatto la sindrome di Stoccolma rappresenta una reazione inconscia al fatto di essere una vittima.


È vero che a livello razionale il fatto di "farsi amico" il sequestratore potrebbe essere un ottimo modo per salvarsi ma di fatto nella sindrome di Stoccolma tutto avviene senza decisione cosciente.


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COME SI SVILUPPA

È importante considerare che non tutte le vittime sviluppano la sindrome di Stoccolma e anche chi la sviluppa non la sviluppa all inizio del sequestro.


Inizialmente c è la negazione, qualcuno potrebbe anche perdere i sensi come meccanismo di difesa.


Dopo un po di tempo più o meno lungo l'ostaggio inizia a rendersi conto di quello che sta succedendo e inizia a temere x la propria vita ma allo stesso tempo c è la speranza che ben presto la polizia interverrà x salvarlo

Più passa il tempo, e più la fiducia dell'ostaggio nei confronti della polizia va scemando anche perché difficile x un.ostaggio sapere quanto tempo sia passato quindi pochi minuti x un ostaggio possono sembrare ore.


Contemporaneamente più tempo passa, più l'ostaggio si immedesima nel sequestratore. Nella testa dell'ostaggio è colpa della polizia se i rapinatori hanno preso gli ostaggi perché se solo la polizia lasciasse andare i rapinatori anche gli ostaggi sarebbero liberi.


Nel caso della rapina avvenuta a Stoccolma una volta liberati, gli ostaggi hanno continuato ad andare a trovare i sequestratori in prigione e una degli ostaggi alla fine ha sposato uno dei rapinatori.

IO E LA SINDROME DI STOCCOLMA

Quando iniziai il mio primo percorso psicologico dopo mesi di sedute lo psicologo mi disse che io soffrivo della sindrome.di Stoccolma.


Quando mi disse questa cosa non capivo cosa stesse dicendo, ancora non sapevo cosa fosse questa sindrome, quando poi mi documentai in merito non riuscivo a capire il nesso visto che io non.ero vittima di una rapina, non ero un ostaggio eppure....


In effetti questa sindrome è tipica non solo degli ostaggi ma anche dei bambini vittime di abusi o delle donne vittime di violenza domestica.


La sindrome di Stoccolma rappresenta uno stato di dipendenza psicologica e affettiva che si manifesta in vittime di violenza fisica o psicologica.



LA MIA ESPERIENZA

La prima volta


Come ho già raccontato qui all'età di dodici anni e per sei anni sono stata vittima di abusi da parte di mio padre, nella mia testa c'era inizialmente la negazione, ero convinta che stessi sognando perché non potevo credere a quello che mi stava accadendo, poi con il tempo ho iniziato a pensare che fosse una prova mandata da Dio x testare la mia fede, successivamente mi convinsi che se solo avessi parlato con qualcuno la colpa sarebbe ricaduta su di me anche perché x primo mio padre diceva che la colpa era la mia. 


Quando iniziai a maturare l idea di dover andare via da casa di mio padre ero convinta che non ce l avrei mai fatta senza di lui ma che nemmeno lui ce l avrebbe fatta senza di me, ero convinta che lui non si sarebbe curato, non avrebbe preso i farmaci, si sarebbe lasciato andare, d'altro canto ero anche convinta che io sarei morta.


Era strano quello che provavo, lo odiavo per quello che mi faceva ma allo stesso tempo provavo affetto o non so come definirlo perché non ha mai usato violenza (percosse), ero certa che avesse un problema e che aveva bisogno di aiuto, che non era colpa sua, che lui non si rendeva conto di quello che faceva ma siccome io me ne rendevo conto ma non gli dicevo nulla ero io quella da condannare.


Fu lo psicologo a darmi la scossa per liberarmi da questo meccanismo e ricordo ancora oggi quanto stetti male.


Fino a quel momento lo psicologo era stato sempre pronto ad ascoltare, ma non si era mai esposto ma ci fu un giorno in cui non mi sembrò nemmeno lui, mi fece talmente male che ad un certo punto il mio cervello si chiuse, era come se non fossi più li, avevo voglia di piangere e scappare ma visto che fisicamente non potevo farlo lo feci mentalmente.


Ricordo che mi chiese se noi testimoni di Geova credessimo nella Trinità. Non capivo il senso della domanda specialmente in merito a quello di cui stavamo parlando e cioè i miei dubbi sull'andare via da casa di mio padre, ma comunque gli dissi di no e lui freddo come un iceberg mi disse che era un peccato perché io potevo considerarmi il quarto membro della Trinità perché mi davo dei poteri divini.


Ero allibita, mi dicevo che lo psicologo era crudele che di me non aveva capito nulla, che io mai mi sarei data dei poteri divini, io che pensavo di essere una incapace, una che non sarebbe mai riuscita a fare nulla come potevo darmi poteri divini, ma che cosa stava dicendo? Eppure le sue parole mi fecero davvero male ma riuscirono comunque a creare una breccia.


Fu in quel momento che riuscii a spezzare seppur non completamente il legame malato tra me e mio padre, legame che si ruppe definitivamente quando mi sposai ed ebbi i miei figli.


La seconda volta

Purtroppo è vero che mi ero liberata dal rapporto malato con mio padre ma solo perché avevo iniziato un nuovo rapporto malato con mio marito.


Negli anni di matrimonio sono stata completamente annullata, non ero libera di decidere nulla ne x la mia vita ne x quella dei miei figli.


Quando iniziò la violenza fisica ormai non ero più in grado di pensare lucidamente, anche in questo caso ero convinta che la colpa era la mia, che se solo io fossi stata accondiscendente o comunque non reattiva quando c erano divergenze di opinioni lui non avrebbe mai alzato le mani, ero convinta che fossi io il problema, la causa, ed ero altrettanto convinta che se mai lo avessi lasciato, o mi avrebbero tolto i bambini o non sarei stata in grado di gestirli. 


Anche x mio marito da una parte provavo odio per quello che mi diceva o faceva e dall'altra lo amavo o almeno ero convinta di amarlo perché avevo la sensazione che quando non litigavamo lui comunque avesse attenzioni per me e anche con lui ero convinta che alla fine lui non avesse alcuna colpa perché ero io che lo irritavo e comunque la sua vita non era stata facile e quindi era normale il suo comportamento, aveva solo bisogno di aiuto.


Nel caso di mio marito quello che ha creato la breccia sono stati i miei figli o più precisamente le loro urla disperate quando hanno assistito al tentativo di strangolamento, quel giorno come le loro urla sono impresse indelebilmente nella mia testa al punto che quando riuscii a lasciare quella casa x rifugiarmi con i miei figli in una casa protetta ogni volta che iniziavo a dubitare che stessi facendo la cosa giusta mi bastava pensare a quelle urla anche se a lungo ho pensato che la causa della sua reazione fossi io, il mio atteggiamento.

OGGI

X quanti percorsi psicoterapeutici io abbia fatto, x quanto lavoro su me stessa io abbia fatto ho paura di non essere immune a questa sindrome.


È vero sono riuscita a liberarmi psicologicamente sia da mio padre (che non c'è più) sia dal mio ex marito, sicuramente non ho più nei suoi confronti dipendenza affettiva.


Ho fatto un grandissimo lavoro su me stessa che mi ha permesso di capire chi sono, quali sono i miei veri pensieri e non la copia dei pensieri di qualcun altro ma non riesco a pensarmi insieme ad un altro uomo, anzi ne ho il terrore, ho paura di perdere quello che ho raggiunto finora, la mia autonomia mentale, ho paura che se frequentassi qualcuno ricadrei nello stesso schema e quindi di dipendere affettivamente da qualcun altro.

Dopo che con tanta fatica ho raggiunto i risultati odierni, l'autonomia mentale in primis, il sapere chi sono e nonostante le difficoltà economiche e gestionali non voglio assolutamente rischiare di perdere nuovamente me stessa.