Cinzia Giluni

Founder Starter

ESSERE INFERMIERI

2019-08-02 03:51:00

Nel mio canale ho già scritto un articolo in cui potete trovare il mio percorso come infermiera, oggi però vorrei raccontarvi cosa significa prendersi cura di un paziente a domicilio.

Quando si lavora in una struttura il tempo che si può dedicare ad ogni singolo paziente è notevolmente ridotto perché devi occuparti spesso di un gran numero di pazienti al punto che nonostante tu non voglia ma per forza di causa maggiore il paziente diventa un numero e ti ritrovi a fare il minimo indispensabile e il contatto umano è davvero difficile.




Nei periodi in cui ho lavorato nelle strutture ho sempre cercato di mantenere un rapporto umano con i pazienti ma non sempre era possibile e a lungo andare il non poterlo fare mi stava logorando perché mi stavo trovando a fare qualcosa non come avrei voluto e arrivai al punto di desiderare di cambiare lavoro, cambiare professione, gettare la spugna.




Quando decisi di diventare infermiera lo feci perché volevo sentirmi utile ma nell'ultimo periodo in cui ho lavorato in strutture mi sembrava tutto troppo meccanico e di sicuro non mi sentivo affatto utile.

LA FIAMMA SI RIACCENDE

Ho passato un periodo davvero buio dove andare al lavoro era diventato un peso non indifferente per una serie di motivi a tal punto che ho creduto che questo lavoro non facesse più per me.


 Prima di rimanere incinta ero costretta a lavorare in condizioni disumane con scarsità di materiale e di personale,

 probabilmente è anche per quello che ho cercato di temporeggiare il più possibile prima di rientrare al lavoro, successivamente ormai sola non potevo seguire i miei figli come avrei voluto e in più c'erano notevoli ritardi nei pagamenti e così mi licenziai lasciando un lavoro fisso x fare una sostituzione nell'assistenza domiciliare dove la prima settimana ho visto lavorare l'oss che avrei dovuto sostituire e ho detto tra me e me che lui lavorava esattamente come io avrei sempre desiderato fare quindi ho ricominciato a pensare che fosse possibile farlo. 


Ricominciai quindi a lavorare con desiderio e fiducia anche se durò poco perché ebbi comunque problemi di salute da una parte e comunque la sostituzione terminò.


Provai con le case di riposo ma a parte il fatto che più che stare vicino ai nonnini era un pulire la struttura, c'era anche il fatto che non riuscivo più a stare vicina ai miei figli come volevo quindi ho dovuto fare una scelta.

SCELTA DIFFICILE

Non è stato facile prendere una decisione per me che ha sempre contato avere un lavoro in regola, un lavoro sicuro, un lavoro gestito da qualcuno, pensare di sconvolgere completamente questa cosa mi faceva star male ma allo stesso tempo lavorare come avevo fatto fino a quel momento mi era diventato decisamente stretto e così attraverso annunci, distribuzione curriculum, conoscenze visto che sono infermiera da un bel Po di tempo ho iniziato a svolgere assistenze private.


Lavorare a domicilio significava non avere la certezza di una entrata ma allo stesso tempo significava decidere io gli orari e soprattutto gestire i pazienti come meglio credevo.


Ovviamente i pazienti che ho gestito e gestisco a tutt'oggi a domicilio sono pazienti per lo più anziani o comunque terminali.


Solitamente per quanto inevitabilmente si crea un legame con il paziente e la famiglia sono sempre riuscita a mantenere un distacco emotivo anche perché vista la tipologia di pazienti se mi lasciassi coinvolgere emotivamente sarebbe finita. 

Tra i molti pazienti che ho seguito ne ho diversi che mi sono rimasti nel cuore chi in un modo chi in un altro.


La mia prima paziente domiciliare non potrò dimenticarla di sicuro visto che fu la prima che seguii subito dopo essermi diplomata come infermiera, periodo in cui ero decisamente inesperta eppure riuscii a gestire già allora il team che la seguiva (senza saperlo avevo gettato le basi per fare quello che faccio oggi). 


Con lei ho iniziato l assistenza ai pazienti oncologici, paziente relativamente giovane con cui si instaurò un rapporto speciale, un rapporto di reciproca condivisione e grazie a quella assistenza ho avuto modo di conoscere delle persone speciali con le quali ancora oggi dopo 25 anni c è ancora un ottimo rapporto.


Con lei ho affrontato per la prima volta la morte a casa, non solo ma stranamente il desiderio di condividere anche quel momento nel senso che dopo averla seguita nei momenti più difficili della sua malattia ho desiderato che si spegnesse con me e così è stato.

Mentre lavoravo nello studio medico ho seguito una paziente a domicilio solo x medicazioni e l ho fatto x diversi mesi e ancora oggi quando la incontro nonostante siano passati molti anni continua a ricordarsi di me.


Negli ultimi anni in cui mi sono occupata solo di pazienti domiciliari ho avuto prima una vecchietta da cui andavo a fare le notti e seppure non è mia abitudine vantarmi anzi, (di autostima zero) posso dire che grazie a me è stato possibile fare una diagnosi di edema polmonare con conseguente immediata terapia del caso.


Un.altra nonnina dimessa dal pronto soccorso con una terapia inadeguata che mi sono rifiutata di fare a domicilio è riuscita a superare il momento critico proprio x essermi rifiutata e aver chiamato prontamente guardia medica e successivamente 118.

Ricordo un nonnino a cui ho fatto delle notti in ospedale, poi seguito a domicilio x un Po, poi lasciato, poi di nuovo assistito saltuariamente che se ne è andato da poco dopo aver perso anche la moglie che quando l ho iniziato a seguire stava relativamente bene. Anche in questo caso ho avuto modo di conoscere una famiglia davvero speciale con cui ancora oggi sono in ottimi rapporti e che mi hanno aiutato in più di una occasione.


Ricordo un nonnino malato terminale che ho seguito fino alla fine anche se di fatto non se ne è andato con me nonostante lo avessi sperato, mi ero allontanata solo un.oretta x potermi andare a fare una doccia e lui se ne è andato proprio in quel frangente. Anche in questo caso ho avuto modo di conoscere una famiglia che in più di una occasione mi ha aiutato senza contare che ancora oggi faccio prestazioni infermieristiche a un membro della famiglia e in più ho avuto modo di conoscere un altro nonnino che è un Po il motivo x cui sto scrivendo questo articolo e di cui parlerò alla fine.

Ricordo un altro nonnino malato terminale attraverso il quale ho avuto modo di conoscere delle ottime colleghe con cui ho avuto modo di collaborare anche in seguito.

Ricordo un nonnino a cui andavo a fare solo l igiene intima e il bagno a letto, mi colpì perché nonostante non comunicasse affatto capitò in un paio di occasioni che rispondesse al mio saluto.


Ricordo due nonnine che ho seguito in ospedaleun seppur brevi assistenze ma il motivo per cui una delle due era ricoverata mi ha fatto comprendere quanta sofferenza ci può essere nel cuore di ognuno


Da tre anni seguo una paziente oncologica facendo prestazioni infermieristiche ed è stato x me gratificante sapere che i medici che la seguono si sono complimentati per come la gestisco a casa, con lei ho imparato a rispettare le necessità del paziente nel senso che di solito utilizzavo un.altra metodica per fare quel tipo di medicazione, "più frettolosa" perché di solito questa tipologia di medicazione l ho sempre fatta su pazienti incoscienti mentre lei è una persona più che autosufficiente quindi ho imparato a rispettare i suoi tempi cercando di non essere troppo invasiva. 


Seguire questa paziente mi ha fatto fare i conti con la solitudine, è una paziente sola, senza familiari, seppure con una grande rete amicale, da quando la seguo ha dovuto affrontare diagnosi difficili, terapie pesanti ma l'ho sempre vista combattere, l ho sempre vista positiva e propositiva e devo dire che questo è un grande esempio.

Da due anni vado da una signora dove di infermieristico non faccio assolutamente nulla, la paziente è autosufficiente, ha solo necessità di un supporto in casa, in questi due anni sono decisamente cambiate le cose, posso dire di essere diventata per lei un punto di riferimento e ultimamente anche per il marito.


Ho fatto assistenza ad una signora fino a questa primavera, aveva necessità di medicazioni, di fleboclisi e di essere accompagnata a fare vari controlli, anche per lei nel periodo in cui l ho assistita sono stata un punto di riferimento, però alla fine si è trasferita a Milano ma ho comunque continuato a mantenermi in contatto con la figlia.

UNA ASSISTENZA DIFFICILE

Circa due anni fa mi è stata proposta una assistenza decisamente non semplice sia da un punto di vista di competenze sia da un punto di vista emotivo. 

Mi era già stato accennato di cosa si trattava ma un conto è sentire, un conto è vedere.


Intanto la paziente ha la mia età ed è mamma di tre figli come me. Nel momento in cui io sono arrivata era attaccata ad un respiratore, faceva la nutrizione enterale e comunicava con una tavola (etran) che non avevo mai visto e non savevo usare.


Mi sono presentata e la prima cosa che lei mi ha "detto" è stata che sperava che io non mi spaventassi.


Le ho detto che assolutamente non c era motivo per cui io dovessi spaventarmi e d impulso ho accettato di iniziare a farle assistenza, ovviamente inizialmente con qualcuno accantoche che mi spiegasse i macchinari e soprattutto le sue abitudini.


Con lei ho imparato ad avere pazienza perché non potendo parlare, per comunicare una semplice frase impiegava molto tempo.


In quella casa ho visto "la famiglia", marito, figli, mamma, sorella, amici tutti che si adoperavano per lei e che le dimostravano affetto, non era mai sola, e non intendo fisicamente perché ovviamente non poteva rimanere sola ma in termini di presenza affettiva.


In quella casa ho visto la difficoltà di dover fare delle scelte, mi sono chiesta io al suo posto cosa avrei fatto.


Io ho vissuto l esperienza di perdere una mamma dopo una malattia, da figlia da una parte dico che avrei voluto poter avere una mamma che stava bene ma allo stesso tempo ricordo che non avrei voluto che la mia mamma tornasse a casa nelle condizioni in cui era in ospedale perché non la riconoscevo come la mia mamma. 

Oggi sono mamma e da una parte vorrei rimanere vicino ai miei figli sempre, poterci essere, poterli vivere ma allo stesso tempo non so se accetterei di farmi vedere in quelle condizioni sapendo che i miei figli ne soffrirebbero.

Allo stesso tempo l.idea di essere imprigionata in un corpo che non posso più controllare mi fa dire che non vorrei "vivere" così.


Stare accanto a lei mi ha fatto riflettere molto su ognuna di queste cose ma a tutt'oggi sinceramente non sono certa di quello che io avrei fatto al suo posto.


Sono passati due anni e oggi la situazione è decisamente precipitata, nell'ultimo anno lei non è stata più in grado di comunicare e seppure da una parte questo ha facilitato il mio lavoro dall'altra mi ha messo in difficoltà perché pur cercando di rispettare le sue abitudini non posso avere la certezza che quello che le facevo andava bene, se la posizione che le facevo assumere per la notte andava bene oppure stava scomoda.


Questo anno mi ha fatto capire quanto la comunicazione, il poter comunicare i propri bisogni, le proprie emozioni sia importante


Sono due mesi che per i miei problemi di salute non sono più potuta andare e in questi due mesi anzi in particolare negli ultimi giorni la situazione è notevolmente precipitata.


Non so se avrò modo di riprendere questa assistenza ma certo è che la porterò sempre nel cuore. 




Come ho scritto precedentemente ho voluto fare questo post in particolar modo per un paziente che ho seguito x quasi cinque anni fino ad un paio di mesi fa e con il quale mi sono resa conto che il mio modo di gestire la situazione è decisamente cambiato.


Quando sono arrivata in casa sua sono arrivata per assistere temporaneamente la signora di casa e poi successivamente ho iniziato a seguire il marito facendo la doccia prima una volta a settimana e poi due. È capitato che è stato necessario fare anche delle prestazioni infermieristiche.

È vero che sono quasi cinque anni che sono arrivata in questa casa ma è anche vero che non è stata una assistenza giornaliera ma bisettimanale eppure.....


È capitato in questi anni che io sia mancata per motivi di salute o motivi di vacanze estive e lui non ha mai voluto che io mi facessi sostituire da qualche mia collega, piuttosto ha sempre preferito aspettare che io tornassi.

Nell ultimo anno ha dovuto accettare una seconda persona che coprisse i giorni in cui non potevo andare io.


Due mesi fa sono stata costretta a lasciarlo x problemi di salute ma ero convinta che appena sarei stata meglio sarei tornata ad assisterlo anche se le ultime volte che ero andata mi ero resa conto che la situazione non era più quella che c era stata fino a quel momento. È pur vero che aveva già avuto delle fasi down da cui si era ripreso grazie ad un aggiustamento della terapia quindi pensavo che sarebbe accaduta la stessa cosa e invece......


Durante la mia assenza sono rimasta in contatto con la moglie che mi ha tenuto aggiornata sulla situazione ma ugualmente non pensavo fosse precipitata fino a questo punto.


Uscendo dall'ospedale sono andata a trovarlo e la scena che mi sono trovata davanti agli occhi mi ha sconvolto.


Lo avevo lasciato che seppur a fatica camminava e l ho trovato allettato, lo avevo lasciato che si chiacchierava, si scherzava, l ho ritrovato poco vigile seppure quando mi sono seduta accanto a lui e l ho chiamato, ha aperto gli occhi e mi ha sorriso, segno che mi aveva riconosciuto, è stato duro mantenere il controllo, anche se non era la prima volta che vivevo una situazione simile e questa cosa mi ha meravigliato.


Ho sempre detto che per quanto inevitabilmente si crea un legame con i pazienti specie nelle assistenze domiciliari comunque è necessario mantenere un distacco emotivo, cosa che sono riuscita sempre a fare, ma questa volta uscendo dalla camera sono crollata e ho pianto, pianto perché ho capito che se ne sta andando, pianto perché mi sembrava di rivedere mia madre (l'ultima volta che l avevo vista prima che si ricoverasse aveva un aspetto, quando l ho rivista in ospedale era un'altra persona), pianto perché io non c'ero stata nel suo declino, pianto perché per quanto consapevole che è un processo inevitabile mi ha fatto decisamente male e anche adesso che sto scrivendo le lacrime scendono da sole.

IN CONCLUSIONE

Vorrei chiudere questo articolo con una riflessione personale.

Mi sono resa conto che nulla è statico, ma le cose possono cambiare perché le circostanze cambiano.

Io ero convinta che avendo imparato a rimanere emotivamente distaccata nel mio lavoro, sarebbe stato sempre così ma a quanto pare mi sbagliavo.


Ero anche altrettanto convinta che la mia scelta di lavorare a domicilio, di non avere un lavoro fisso era la scelta migliore, quella più giusta per me e i miei figli e molto probabilmente così è stato fino ad oggi.

Dopo il mio ricovero sto rimettendo tutto in discussione.


Non so se sia solo il caldo unito al fatto che sono ancora in fase di recupero ma non riesco più a tenere gli stessi ritmi senza contare che a quanto pare anche emotivamente sono diventata più sensibile.