Riflessioni per Nutrire l'Anima

Spiritualità & Filosofia

Riflessioni per nutrire l’anima: Non si finisce mai di imparare

2022-03-25 08:36:48

Da quando ho cominciato ad ascoltare le persone, mi sono confrontato spesso con i miei limiti e provare ad uscire dalle difficoltà con fatica: mi ha permesso di crescere.

Ogni buon counselor è invitato ad ascoltare se stesso per monitorare il proprio percorso di crescita.

Quando mi sono formato nel triennio del master di counseling mi hanno detto che occorre porre attenzione a tre dimensioni nella relazione di aiuto:

  • Competenze; 
  • Contratto;
  • Confini.

Per quanto attiene le competenzeposso dire che il counselor è invitato a curare la propria formazione in modo costante nel tempo.

Riguardo a questa area di azione, mi sono promosso all’interno dell’Aspic Veneto per accompagnare le classi nei ripassi in vista delle prove d’esame a Roma.

Ogni volta che ripercorro una tematica cerco di proporla “in punta di piedi” perché tocca le persone in profondità.

Infatti parlare di congruenza, accettazione incondizionata, empatia ecc.. impatta molto sugli esseri umani.

Si tratta di una dimensione di umiltà e di sfida, perché riprendere più volte nell’arco dell’anno gli stessi argomenti può sembrare noioso, tuttavia posso dire che rivedere i contenuti con persone nuove permette di ricevere nuovi contributi, nuovi punti di vista.

Il ripasso delle materie arricchisce i miei allievi e dona nuova luce alle mie conoscenze.

Importante in questo ambito partecipare anche a momenti di formazione promossi da Aspic Veneto, Aspic Roma, Reico e colleghi perché cogliere le integrazioni e le novità mi aiuta a crescere.

La seconda dimensione di attenzione è il contratto.

Si tratta dell’accordo che il counselor instaura con il proprio cliente.


In questo ambito spiego alla persona che il counseling è un’azione di pochi colloqui per il raggiungimento di un’obiettivo concordato, ben preciso, a breve termine.

La persona che viene in ascolto arriva spesso carica di tensione, assetata di risposte e nei primi incontri riversa tutto il suo vissuto.


L’abilità del counselor è quella di aiutare il cliente a mettere in figura il bisogno più impellente e con lui definire quello che vuole cambiare per fissare l’obiettivo da raggiungere.

A parole è facile, tuttavia, nel corso degli anni mi sono accorto che aiutare la persona a fare chiarezza nella propria vita comporta sempre impegno e dedizione.

Ci sono clienti che si lasciano condurre nella ricerca in modo docile perché sono abituati a guardarsi dentro, poi ci sono quelli che impattano per la prima volta con se stessi e là sono dolori.

Non è facile guardarsi dentro, sia per il cliente come per il counselor. 

Il counselor, per riuscire ad affrontare un argomento con una persona, occorre che abbia già affrontato la stessa tematica con se stesso altrimenti si blocca e deve inviare il cliente ad un collega o a professionista con più competenze.


Il counselor va in psicoterapia singola e di gruppo per imparare ad affrontare le proprie ombre e poi riuscire a riconoscerle nell’altro che aiuta. 

Mi sono accorto che quando trascuro il lavoro su me stesso, comincio ad essere più rigido e meno accettante.

Una volta chiesi al Prof. Edoardo Giusti, il riferimento principale nel counseling in Italia, se si sottoponeva ancora a psicoterapia.

Lui mi rispose che aveva al suo attivo almeno 28 anni di continua verifica personale e stava continuando.

Mi disse che ogni volta che affrontava un argomento spinoso della sua vita dedicava un tempo di studio con un suo collega per produrre a fine percorso un libro utile a se stesso a agli altri.

In questo modo il mio professore risolve i suoi problemi, aiuta le altre persone  e genera reddito.

L’ambito più importante nell’azione del counselor è preservare i confini.


E’ importante interagire con il cliente in modo empatico mantenendo la giusta distanza cioè il counselor si avvicina al sistema di riferimento della persona, si immedesima nel mondo dell’utente e ritorna al proprio mondo, non perde la cognizione del “come se”.

Si parla di movimento empatico cioè di ricerca  costante dell’equilibrio tra le parti.

La centratura è sulla relazione perché il counselor deve essere consapevole

di se stesso e dell’altro e di quello che passa tra i due.

Se il counselor si fa coinvolgere troppo nella relazione di aiuto rischia la simpatia cioè di sentire come il cliente, di aggiungere all’ansia della persona la propria ansia, e rischia di suggerire e dare soluzioni.

Questo ambito rappresenta per me un capo di prova.

Essendo un volontario caritas, più di una volta mi sono chinato sul bisogno in modalità salvatore e mi sono fatto male.


Anche di recente mi sono lasciato trasportare dal desiderio di riscattare una persona dal suo stato di disagio, e ho prosciugato le mie energie. 


Ho scoperto, ancora una volta, che quando mi riempio del dolore dell’altro mi blocco e non sono più di aiuto.

Capita che la persona percepisca il mio disagio e spaesata manifesta rabbia.

Ho capito, a mie spese, che non posso più immergermi nella sofferenza altrui, ma che ho bisogno di dosare le forze.

Voglio focalizzarmi sull’obiettivo del cliente e non riflettere sul disagio mentale dell’altro.

Ho capito che riconoscere i miei limiti e gestire i confini fa bene a me stesso e anche alla persona che aiuto.

Ogni volta che sbaglio, ringrazio perché è un’occasione di crescita.

Un caro saluto.

Antonio

by Antonio Masoch