Una storia veneta
PERSONAGGI - Sandro Pertini
Nel 1987 il presidentissimo Sandro Pertini decise di venire a pranzo all'Amelia. Questo è il racconto dell'accaduto dalla viva voce di Dino Boscarato, come riferito nel libro "Una storia veneta" (Terraferma editore).
«Vada lei a rispondere, c’è un cretino lì che dice che c’è il Presidente della Repubblica che vuol venire a mangiare qua...!»
E passiamo a Sandro Pertini, il cui episodio è veramente divertente. Una mattina, verso le undici e mezza, eravamo tutti seduti a tavola. A un certo punto suona il telefono, la nostra cassiera si alza, va a rispondere e torna tutta scocciata e mi dice: “Vada lei a rispondere, c’è un cretino lì che dice che c’è il Presidente della Repubblica che vuol venire a mangiare qua...!”. Mi sono alzato, sono andato al telefono, e ho capito che non era un cretino, ma era veramente il capo di gabinetto del presidente della Repubblica che mi diceva che entro un’ora, un’ora e mezza (erano a Verona) sarebbero venuti a mangiare all’Amelia.
Chiedo informazioni sul menu da preparare, e mi dice che vuole cose molto semplici, non c’è da preparare nulla di particolare, e non vuole assolutamente una sala riservata, ma un angolo nel quale il presidente possa stare tranquillo e sorvegliato dalla sicurezza. Ho scelto l’angolo dopo l’entrata a destra, e davanti ho preparato un tavolo da otto per la sicurezza. Mi ha detto di non dire niente a nessuno, perché volevano che venisse in incognito. Che fare? Chiamo subito il personale, lo avviso della cosa eccezionale, ci mettiamo tutti in moto, e mi raccomando di non dire niente a nessuno. Cominciamo a prepararci, ed è stato un grosso impegno organizzativo davvero. Dopo un po’ vado fuori a vedere se arriva qualcuno della polizia, e vedo una gran confusione: sopra il cavalcavia e in cima al ponte ci sono delle pattuglie che stanno bloccando e indirizzando il traffico, e vedo persone là davanti, che mi dicono che sta arrivando Pertini. Ecco che tutta la segretezza dell’arrivo è saltata! I carabinieri erano stati avvisati, e a comandare i carabinieri di Mestre in quel periodo c’era il capitano Sergio Boscarato, mio cugino, che poi è diventato generale.
Finalmente arriva Pertini, scende ed entra salutando tutti allegramente. A sinistra dell’entrata dell’Amelia c’è il banco del bar con tutti gli “ombrettisti”, come noi chiamiamo con simpatia i clienti locali che vengono a prendere l’ombretta con i cicheti alla mattina e al pomeriggio. Pertini appena entrato gira a sinistra, dicendo semplicemente: “Vado a salutare un po’ di amici miei”, e si fionda al bar come un avventore qualsiasi. Sconcerto nella scorta, che diventa matta a seguirlo. Solo dopo aver salutato tutti gli avventori del bar entra in sala. È tutto arzillo e allegro, e in quello stato d’animo fa chiamare il comandante dell’aereo presidenziale che lo attende a Tessera e gli parla personalmente. Ero presente, lì davanti a lui, e lo sento dire: “Beh, capitano, cosa fa lì? Siamo tutti a mangiare all’Amelia, il migliore ristorante del Veneto. Venga anche lei qui con noi”. Mette giù il microfono e dice a me: “Sa perché l’ho chiamato? Perché quando sarà qui, invece di partire quando vuole lui, parto quando voglio io!”.
E arriviamo al pranzo. Gli abbiamo chiesto che cosa desiderava e gli abbiamo proposto i soliti antipasti, cioè la granseola, le canoce, e così via, ma lui voleva quei “pescetti piccolini” che non riuscivo a capire che cosa fossero. Dico le seppie, le seppie no, finalmente capisco che vuole i moscardini. A lui piacevano quelli piccolissimi, quelli che si trovano in Liguria, la sua terra di origine. Noi li avevamo, un po’ più grandi, ma molto buoni anche quelli. Ha mangiato, contento e allegro, e per tutto il pranzo ha scambiato battute scherzose con i commensali vicini. Una delle cose che il capo di gabinetto mi aveva raccomandato era che il presidente, a fine pasto, gradiva una grappa con una zolletta di zucchero in fondo. Quel giorno avevo due o tre bottiglie di grappa di Picolit quella grappa molto particolare, che a lui è piaciuta molto. Infatti quando l’ha assaggiata ha esclamato: “Buonissima questa grappa”. Gli ho risposto: “È una grappa di Picolit” e lui mi ha guardato sorpreso: “Piccoli? Anche lui fa così buona grappa?”. Allora ho capito e gli ho spiegato: “Guardi che non è dell’onorevole Piccoli, ma è un vitigno friulano che si chiama Picolit”. La grappa gli era talmente piaciuta che il capo di gabinetto me ne ha poi chieste da mandargliene al Quirinale.
Nel frattempo noi ovviamente avevamo chiamato il fotografo. Quando la scorta lo ha visto, lo ha bloccato e ha detto: “Niente foto”. Forse perché temeva che ci fosse qualche aggeggio pericoloso al posto delle macchine fotografiche. Così inizialmente non siamo riusciti a fare fotografie. Ma io, mentre stava mangiando, gli ho chiesto: “Presidente, mi lascerà fare qualche foto con lei?”. “Eh, perdinci!”, ha detto, e ha avvertito la scorta che così ha lasciato lavorare il fotografo. Abbiamo fatto parecchie fotografie: con noi, mentre chiacchierava... e poi ce n’è una mentre sta baciando la Mara, che le dà un bacio quasi in bocca! Infine ricordo la frase, che poi ho riportato anche al Papa, che ha detto prendendo sottobraccio il comandante dell’aereo, mentre stava per lasciare l’Amelia: “Che bella giornata… sa che cosa mi piacerebbe fare per concludere in bellezza? Mi piacerebbe scendere al Vaticano anziché a Fiumicino, così andrei a salutare il mio amico Wojtyla e farei quattro allegre chiacchiere con lui, perché sarebbe davvero la giornata giusta”.
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