Rosa Borgia

Arte & Intrattenimento

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Tartufi:perché è difficile coltivarli

2019-09-29 22:15:06

È una vera e propria prelibatezza riconosciuta a livello mondiale, simbolo della cucina di altissimo livello: il tartufo, con quel sapore e quella consistenza inconfondibile, è uno degli ingredienti più preziosi al mondo. Difficile da trovare – tanto che vengono spesso impiegati cani opportunamente

addestrati, affinché possano riconoscerne la presenza nel terreno sfruttando l’olfatto – questo fungo è anche uno dei più cari. Questo perché la quasi totalità della raccolta avviene direttamente in natura: non esiste un mercato esteso di prodotti coltivati.

Tuttavia la coltivazione di questo fungo risulta difficile, rispetto ad altre specie che, sin da tempo immemore, vengono fatte crescere dell’uomo in ambienti controllati.

Praticamente la totalità dei tartufi in commercio viene raccolta nei boschi, sia grazie alla sapiente conoscenza del territorio da parte dei venditori, che tramite l’ausilio straordinario di cani addestrati. Non esiste, invece, una coltivazione nel senso stretto del termine, bensì altre tecniche che riproducono le stesse condizioni che sussistono nella natura incontaminata.

Innanzitutto, bisogna considerare come il tartufo sia una micorriza, ovvero un fungo che si sviluppa grazie alla perfetta simbiosi con alcune piante e alcuni microorganismi presenti nel terreno. La moltiplicazione avviene tramite la diffusione delle spore e, per poter attecchire, il fungo ha bisogno di precise condizioni. A oggi, sebbene siano note le piante che maggiormente possono favorire la crescita di tartufi, non ancora tutti i meccanismi e gli equilibri dei microorganismi presenti nel terreno sono stati completamente compresi. Poi, proprio perché il tartufo richiede questo rapporto di simbiosi, potrebbero essere necessari moltissimi anni prima di uno sviluppo sufficiente del fungo.


Questo non vuol dire che una coltivazione non sia possibile, tuttavia risulta estremamente difficile. Esistono infatti le cosiddette tartufaie, ovvero dei luoghi dove vengono piantate le varietà di albero che favoriscono la crescita del fungo, in terreni opportunamente arricchiti di sostanze nutritive, microorganismi e ovviamente le spore. Non si tratta di coltivazioni in senso stretto, ma di un ambiente che riproduce alla perfezione l’habitat che si potrebbe trovare in natura, sottoposto alle stesse leggi. In altre parole, si stimola la crescita della pianta che potrebbe creare un legame simbiotico con il fungo e si attendono parecchi anni – a volte oltre la decina – prima di poter ottenere il primo raccolto.

In genere, per le tartufaie si preferiscono alberi di betulla o quercia, le cui radici sono state trattate con uno speciale composto, arricchito dalle spore del fungo. Si investe, perciò, sulla probabilità che le radici e quella speciale configurazione del terreno possano, in futuro, generare lo sviluppo di un esemplare del pregiato cibo.

Poiché la tecnica della tartufaia richiede grande dedizione, un investimento ingente sia iniziale che di manutenzione, nonché parecchio tempo per la crescita del fungo, i costi finali non sono dissimili rispetto ai tartufi trovati direttamente in natura. Da tempo sono al vaglio delle nuove tecniche per standardizzarne la coltivazione, allo scopo di rendere il tartufo alla pari delle varietà da campo, ma il percorso appare ancora lungo. Gli esperimenti condotti fino a ora, oltre a richiedere importanti risorse, non hanno portato a esemplari non solo di numero sufficiente, ma anche di una qualità paragonabile a quella del mercato più classico.