Passi Sparsi | Esercizi di Empatia in narrativa

Libri & Scrittura

Passi Sparsi #09

2018-11-27 07:46:43

Passi Sparsi di Pier Franco, avvocato, anni 40

C’è un confine sottile tra l’intuizione e la sega mentale. Il fatto che la storia abbia parlato spesso di un senso in più per il genere femminile ha offerto un alibi di ferro a molte donne per sentirsi delle sibille cumane in grado di avvertire certe cose. Questo ha danneggiato molti soggetti maschili, soprattutto il sottoscritto, ma in generale tutti coloro che si sono trovati in posizione di potenziale bersaglio della sega stessa.

La sega mentale è un’energia densa che si insinua, in determinate circostanze, direttamente nel cervello di alcune donne, per diventare, entro pochi secondi, una certezza, e dopo qualche ora una consapevolezza universale. Lo so, perché attraverso queste forche caudine ci sono passato, quando stavo con Nadia. L’ultima volta è da raccontare, così capite meglio cosa intendo.

Avevo terminato l’ennesima pratica importante in ufficio, relativa a un procedimento penale contro un mio cliente recidivo. Si era fatto tardi senza che me ne accorgessi. Di solito facevo una telefonata per avvisarla del ritardo, o davo questo compito alla segretaria. Quella sera, invece, perso tra cavilli cui riuscire ad appendermi per fare il mio lavoro al massimo, non me ne ricordai.

Erano le ventuno e trenta. Ritardo di due ore e mezza. Minchia. Alzai il telefono per chiamarla. Il segnale dall’altra parte era quello della cornetta non al suo posto. Provai al cellulare: spento. Mi infilai il cappotto e scesi in corso Magenta, affrettando il passo. All’incrocio con corso Cavour notai la fioraia ambulante, col suo solito foulard sui capelli e il sorriso da matrioska. Pensai che fosse strano incontrarla a quell’ora, ma ne fui felice: acquistai un mazzo di rose per Nadia.  

Davanti al Teatro Grande vidi una donna che osservava un’utilitaria ferma, con baule e cofano aperti. L’auto aveva uno pneumatico a terra. La signora era ben vestita, come per un appuntamento importante, truccata con cerone e rossetto. Poteva essere mia madre e sembrava disperata.

Le domandai se avesse bisogno di aiuto, mi disse che se l’avessi aiutata mi avrebbe dato un bacio. Ridemmo entrambi, mi levai il cappotto, appoggiai il mazzo di fiori sulla capote, cercai il cric, lo trovai, cercai la ruota di scorta, mi accorsi che era attaccata sotto l’automobile, pensai porca puttana, la estrassi, alzai la macchina, la riabbassai poiché non avevo allentato i dadi della ruota, allentai i dadi, risollevai il mezzo, sostituii la ruota, strinsi un poco i dadi, abbassai il mezzo, strinsi ulteriormente i dadi, rimisi a posto il cric, posizionai la ruota buca nel baule, mi sciacquai le mani alla fontanella e lei, la signora che poteva essere mia madre, mi abbracciò da dietro dandomi un bacio sulla guancia, ringraziandomi all’infinito e lasciandomi addosso una nuvola orrenda di violette di Parma. Poi partì sgommando, continuando a salutarmi e a soffiarmi baci dalla mano. Le ventidue e sette, ri-minchia.  

Dopo essermi sciacquato le mani alla fontanella davanti al teatro, camminai veloce, mentre provavo a chiamare sia a casa che sul cellulare, senza risultati. Un cane mi guardava come mi avrebbe guardato uno Zaratustra muto, imboccai corso Palestro, vidi un tizio che spingeva l’auto al semaforo di Via Gramsci, pensai fanculo, mi diressi verso il portone del mio palazzo. Suonai il campanello. La serratura scattò subito. Se l’ascensore avesse avuto uno specchio al suo interno, probabilmente ora sarei ancora l’uomo di Nadia, la vittima quotidiana delle sue sopracitate intuizioni. Ma lo specchio, come avrete capito, non c’era nell’ascensore del mio palazzo, quindi mi presentai alla porta senza essermi potuto accorgere che avevo una sbavatura di rossetto rosso-dozzinale sulla guancia destra. Questa cosa, sommata alla nuvola di violette di Parma e al mazzo di fiori in mano, la fece andare fuori di testa. Rossetto e aroma parmense erano andati ad alimentare i pensieri sordidi in cui lei aveva sguazzato dalle diciannove in poi. Furono ovviamente una prova inconfutabile del mio ennesimo tradimento a mezzo donnaccia. I fiori, invece, come nei migliori film del dopoguerra, furono tradotti in un desiderio di pulirmi la coscienza. Bingo. Non ci fu verso di spiegarle quello che era realmente successo, né che l’aroma di violette di Parma era il profumo preferito di mia nonna e nessuna donna sotto i sessantacinque anni lo metterebbe, e che io non ci andrei a letto con una dell’età di mia madre. Forse se avessi mantenuto le mani sporche sarei stato più credibile. Non lo so. Ad ogni modo, dopo vari tentativi di calmare le acque, fu il sottoscritto a perdere le staffe e la invitò, urlando, ad andare a farsi fottere. Tempo di preparare una valigia, mentre lei mi chiedeva scusa e si avvinghiava al mio collo come una bertuccia in calore, e fui di nuovo in strada. Erano le ventitre e non sapevo dove andare ma non ero mai stato meglio negli ultimi mesi, se capite quello che voglio dire. Pier Franco avvocato anni 40