Marco El Greco Del Barba

Founder Senior

Trento Film Festival: la montagna come set da salvaguardare

2019-05-11 10:21:19

Perché un individuo, senza alcun obbligo morale, decide di affrontare una natura spesso più violenta che pacifica, più matrigna che madre?

Vivere la montagna. Questione di scelte dove si può realizzare il sogno di una vita. Accade a uno degli alpinisti più celebri oggi, Hans Kammerlander, tempo record di scalata e discesa con gli sci dell’Everest, in “Manaslu - la montagna delle anime” di Gerald Salmina, la cima più difficile legata a un tragico evento che racconta a Werner Herzog, regista e membro della spedizione Gasherbrum.

Perché un individuo, senza alcun obbligo morale, decide di affrontare una natura spesso più violenta che pacifica, più matrigna che madre?

È un mistero raccontato da un’ampia schiera di scrittori e pittori, da Lucrezio a Leopardi, da Turner a Ajvazovskij, e anche nel film continua a essere un forte richiamo a cui è difficile sottrarsi .

Le immagini più dirompenti e agghiaccianti sono proprio quelle che mostrano come la natura è giudice imparziale del destino umano dove non sempre si riesce a impedirne l’avversa sentenza.

Ogni inquadratura contempla ed esplora con forza documentaria gli angoli più sperduti e impervi del Pianeta, indagando storie appassionanti e avvincenti, quanto inquietanti e attuali come nel racconto noir di fiction in anteprima italiana “Il mangiatore di pietre” di Nicola Bellucci, tratto dall’omonimo romanzo di Davide Longo, dove Luigi Lo Cascio è un silenzioso e solitario passeur che clandestinamente conduce i migranti oltre le Alpi per raggiungere Marsiglia.

Nel film “This Mountain Life” di Grant Baldwin, madre e figlia intraprendono un lungo e rischioso cammino nelle selvagge montagne costiere del British Columbia senza mai arrendersi, persino una suora scia con l’abito talare per rimanere in contatto con la montagna dove trova la massima espressione di spiritualità.

Suggestioni visive come i profili delle montagne al tramonto o sonore come il fragore di una cascata illustrano il paesaggio della Val Grande, dove brevi ma intense inquadrature celebrano la tranquillità e il silenzio della natura (“Val grande” di Ivan Gnani).

In un villaggio tra le montagne del Portogallo, un’anziana signora tramanda storie di incontri tra uomini e lupi che ricordano le metamorfosi dei racconti di Italo Calvino, un mondo più fiabesco che reale (in “Histórias de lobos” di Agnes Meng ).

Montagna dove non c’è consolazione per una terra ferita dal terremoto del 2016 e abbandonata, come raccontato dal corto “Così in terra” di Pier Lorenzo Pisano.

Sono state alcune delle storie più coinvolgenti del Trento Film Festival, non solo per le imprese di donne e uomini straordinari guidati da un’incredibile tenacia, per l’integrazione che la montagna racconta, per i misteri e le leggende che custodisce, ma soprattutto perché ancora una volta il cinema prende il posto di una politica indifferente al tema ambientale così come alla distruzione dei borghi montani terremotati, rianimando le coscienze per salvaguardare il nostro ecosistema costantemente minacciato dai cambiamenti climatici e a non distogliere lo sguardo dalla montagna ferita che rischia l’abbandono.

L’idea che emerge con forza unanime dal festival trentino è l’imminenza a lottare per l’ambiente come un set da salvaguardare.