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Mantra Yoga: come essere utili agli altri e a noi stessi

2021-04-01 07:35:33

Come un fiammifero contiene il fuoco, il latte contiene il burro, così anche noi abbiamo poteri latenti che aspettano solo di essere risvegliati.

Quando pensiamo ad un ricercatore spirituale è facile che ci arrivi l’immagine di una persona capace di portare del bene al prossimo, sotto forma di pace, armonia oppure opere più concrete. 
Infatti, i nomi che spiccano nelle varie tradizioni autentiche, sono proprio persone che si sono dedicate al servire gli altri, quasi fosse un effetto naturale e logico del loro alto livello di realizzazione spirituale: Madre Teresa di Calcutta, San Francesco, San Giovanni Bosco ecc.
Ovviamente la stessa opera di Gesù si esprime attraverso la guarigione di migliaia di persone nel corso dei suoi anni di predica e lui stesso in molti passi ha sottolineato questa attitudine al servizio.
Penso ad esempio ai versi famosi di Marco 10.44-45:

chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti.


Nella tradizione Indovedica lo stesso maha-mantra, il grande mantra della liberazione composto dai nomi divini, viene tradotto con “Ti prego Signore, mettimi al Tuo servizio”, ossia rendimi uno strumento divino nelle Tue mani.
Servire gli altri inoltre è al di là e al di sopra di ogni categoria e identificazione. Un verso della Caitanya Caritamrita (CC Madhya 13.80) dichiara: “‘Non sono un brāhmaṇa (sacerdote), uno kṣatriya (governante), un vaiśya (commerciante e imprenditore) o uno śūdra (lavoratore). Nemmeno un brahmacārī (studente), un grihasta (padre o madre di famiglia), un vānaprastha (ritirato dagli affari mondani) o un sannyāsī (rinunciato). Sono solo il servitore, del servitore, del servitore dei piedi di loto del Signore…
Infine, tra le virtù che vengono consigliate nel percorso spirituale (le principali sono 26, ne parlo in questo video) ne troviamo più di una che parla esplicitamente del servire gli altri:

  1. Kripalu (misericordioso); gentile verso tutti, incapace di tollerare la sofferenza altrui, si prodiga verso il bene di tutti
  2. Vadanya (Magnanimo); Caritatevole, di animo generoso e nobile, benefattore, portato a fare grandi cose.
  3. Sarvopakaraka (si dedica al benessere di tutti); mira al benessere di tutte le entità viventi, mette davanti il bene degli altri rispetto al proprio, benefattore ossia fa del bene.
  4. Karuna (compassionevole); solidale, empatico, capace di condividere con gli altri, desidera sollevare la persona dalle proprie sofferenze

In ogni caso possiamo tranquillamente affermare che tutte le virtù spirituali si esprimono anche verso l’esterno, ossia hanno un effetto benefico verso gli altri e la società in generale.
Lo vediamo nella vita dei maestri realizzati, guru, che esemplificano questo desiderio di servire gli altri, nei vari livelli della loro esistenza, fisico, psichico e metafisico.
Servire quindi sembra un elemento centrale, una caratteristica imprescindibile e cartina di tornasole dell’autenticità della persona che abbiamo di fronte.
Ho deciso quindi di parlarne perché stiamo vedendo che i tempi che verranno ci metteranno sempre più nelle condizioni di chiedere aiuto agli altri e a nostra volta di offrirlo. Ma chi sono gli altri?

Aiutare gli altri significa aiutare noi stessi

Quando pensiamo “agli altri” nella nostra vita pratica, ci vengono in mente molte situazioni: gli amici, la famiglia, l’ambito sociale in cui viviamo, la nostra nazione ecc.
I grandi maestri ci esortano anche ad ampliare sempre di più i nostri confini, per riuscire ad abbracciare in qualche modo tutte le entità viventi.
Ma il nostro dev’essere un percorso graduale perché a volte i primi ostacoli nel riuscire a servire gli altri adeguatamente li troviamo proprio nei primi cerchi delle nostre relazioni, ossia con le persone che sono più prossime a noi.
Infatti, non sempre riusciamo ad essere di reale aiuto nelle loro vite e soprattutto, non sempre noi stessi siamo ben disposti verso di loro, perché?

Tutti noi abbiamo bisogno di aiuto

Prima di tutto dovremmo accettare che il prossimo siamo noi stessi, che a nostra volta dobbiamo farci più prossimi agli altri. 
Ed è questa la prima meditazione che vorrei che facessimo.
Meglio partire da noi, per capire come vorremmo essere aiutati e, così facendo, potremmo ridurre gli errori che faremo quando tenteremo di aiutare gli altri. Mettendo noi stessi come primo elemento bisognoso di aiuto, ci protegge dal rischio di vedere l’altro solo come un paziente, un bisognoso, un problema da risolvere.
Partire da noi significa inoltre avere la consapevolezza che gli ostacoli arrivano regolarmente, che le cose vanno storto e che quindi vivere non è facile.
Per questo è anche naturale tendere a scoraggiarsi e avere bisogno appunto di aiuto per ristabilirci sul sentiero. Un aiuto:

  • Filosofico: dobbiamo dare un senso a quello che ci accade. Attraverso la nostra intelligenza potremmo scorgere dei pattern, ma per vedere l’immagine completa abbiamo bisogno della rivelazione divina o dell’aiuto degli altri.
  • Emotivo: nei momenti di difficoltà abbiamo bisogno di essere amati e compresi
  • Fisico: a volte abbiamo bisogno anche di questo aspetto, di aiuti pratici nella nostra vita, non “solo” di parole o pacche sulle spalle.

Krishna nella BG 7.14 dichiara: daivī hy eṣā guṇa-mayī mama māyā duratyayā Questa mia energia Divina, costituita dai 3 influssi materiali, è difficile da superare.
Il concetto centrale di questo verso è che è difficile per tutti, quindi anche per noi!
I principali ostacoli che troviamo lungo il sentiero sono la bramosia, la collera, l’avidità, l’illusione, la superbia e l’invidia (vengono chiamati anartha e tutto il resto sono una loro declinazione).
Lavorare su questi aspetti non è semplice e di certo non dovremmo aspettarci che lo sia per gli altri, anzi.

Ma possiamo essere di aiuto agli altri SOLO nella misura in cui siamo onesti con noi stessi.

Può succedere che, spinti dal desiderio sincero di aiutare gli altri, dimentichiamo la nostra condizione e il nostro aiuto si macchierà di questo atteggiamento e di questa illusione.
Infatti, servire gli altri significa essere umili, ed è per questo che siamo servitori utili quando serviamo realmente al disegno divino.
Pensiamo ad una famosa parabola evangelica che conosciamo tutti: Il figliol prodigo.
Molti di noi, le prime volte che l’hanno ascoltata, hanno provato empatia per il figlio che è rimasto vicino al padre che però non ha ricevuto gli stessi onori di quello che è tornato dopo aver sperperato tutta la sua ricchezza.
Ma ci dimentichiamo che il figliol prodigo in realtà siamo noi, che ci siamo allontanati dalla nostra Fonte; dimentichiamo inoltre che la misericordia Divina, esemplificata dal padre che festeggia per il ritorno del figlio, è lì proprio per noi, che ci sta aspettando.
E il figlio che è rimasto? Si considerava vicino al Padre ma in realtà è il più lontano e in qualche modo rimane insalvabile. 
Cerchiamo quindi di essere come il figlio ritornato che, capita la sua situazione di estremo dolore, sceglie di tornare al Padre perché daivī hy eṣā guṇa-mayī mama māyā duratyayā (questo mondo è difficile se pensiamo di far tutto da soli).

Le avversità in realtà servono per crescere

Il secondo aspetto su cui possiamo meditare è che nelle avversità si può crescere.
Spesso le avversità emergono per permetterci di crescere, di mettere da parte l’ego e di capire qualcosa di più su di noi e sulla vita. E il fatto che si ripetano, dovrebbe farci riflettere.
Ti riporto alcuni versi della Bhagavad-gita (2.55-58):

Quando una persona è soddisfatta solo nel sé e rifiuta tutti i desideri egoistici della mente, si dice che ha una saggezza stabile. Libero dalla passione, dalla paura e dalla collera, con la mente non disturbata anche nella sofferenza, che non va più alla ricerca dei piaceri effimeri, è detto essere un saggio dalla mente salda. La saggezza è fermamente presente nella persona che non è scossa sia se incontra il bene sia se incontra il male, che non si compiace e non si dispiace per questo. La saggezza è fermamente presente in chi ritrae completamente i sensi dagli oggetti dei sensi come fa una tartaruga quando ritrae i suoi arti.


La Bhagavad Gita è molto esplicita quando afferma che il mondo è un effimero regno di dolore (dukkhalayam ashasvatam), un susseguirsi di gioie e dolori, di felicità e sofferenza.
Bisogna imparare a tollerarli, ma non solo, a portarsi gradualmente nel guna della virtù.

Aiutare gli altri però ci permettere di allentare le forze del desiderio egoistico, diventando quindi un mezzo efficace per la nostra realizzazione.

Le avversità, ossia quando i nostri piani di felicità vanno in frantumi, possono diventare delle occasioni per riflettere sui nostri perché, sulle nostre motivazioni e darci l’opportunità di cambiare. Non è facile, ma è possibile proprio grazie all’aiuto degli altri.
Iniziamo quindi a vedere la vita come una scuola per fare esperienza e crescere nella spiritualità. Non vediamola come la ruota di scorta, ma come il volano per farci crescere.
Dovremmo quindi sempre chiederci:

  • Cosa c’è di nuovo oggi? Cosa posso applicare nella mia vita oggi? In che modo posso servire gli altri al meglio delle mie capacità?

La vera felicità è una scelta

Se il mondo è un continuo alternarsi di gioie e dolori, è anche vero che la vera felicità è una scelta, ed è questa l’ultima meditazione che potremmo fare.
Dovremmo darci l’opportunità di cambiare, perché spesso si rimane fermi in posizioni che durano decenni: rancori, cicatrici che non curiamo, convinzioni e adesione a convenzioni che sappiamo non funzionare
E dovremmo lasciare anche agli altri questa opportunità, mentre a volte tendiamo a voler controllare la loro vita, magari per il loro bene, dimenticandoci però che non vediamo più in là del nostro naso e che ci sfuggono troppe cose per poter giudicare, specialmente cosa è buono o no per gli altri.

Lavoriamo quindi prima di tutto su noi stessi e vedremo che il mondo intorno a noi inizierà a muoversi in modo del tutto diverso.

Teniamo sempre le porte aperte alla trasformazione interiore e questo significa diventare sempre più leggeri, liberi dai fardelli che con tanto impegno costruiscono la nostra mente.
Ecco perché senza una vita interiore stabile è difficile risolvere i problemi esteriori, mentre quando si ha la giusta prospettiva possiamo capire con velocità ed efficacia anche come agire nel migliore dei modi.

Secondo le nostre capacità e soprattutto insieme

Tutti noi sentiamo di non essere perfetti, di non avere i mezzi per cambiare il mondo, di non riuscire a cambiare il cuore delle persone, nemmeno quelle più vicine a noi.
Le nostre capacità di servire, ossia essere utili strumenti nelle mani del Divino, si svilupperanno gradualmente, man mano che diventiamo maturi: facendo il bene si diventa buoni.
Solo i nitya siddha, gli eternamente liberi, hanno queste capacità pienamente sviluppate, ma persone come noi devono avere pazienza e fede nel metodo.
Agire mirando al benessere del mondo intero (Bg. 3.25), incoraggiare ognuno a migliorare, vedendo gli altri con sguardo equanime e libero dal giudizio (Bg. 6.9), onorando il Divino in tutte le creature (Bg. 6.31), questi sono i movimenti che dovremmo fare per rendere la nostra vita perfetta.
Il Mantra Yoga è uno strumento prezioso in questo percorso perché è capace di pulire lo specchio della mente (ceto darpana marjanam), permettere di portare il nostro centro di gravità nel nostro cuore e quindi di far emergere la nostra natura Divina.
Se sei all’inizio del percorso del mantra yoga, ho preparato per te una guida per chi vuole iniziare, nella quale scendo sugli aspetti tecnici e ti illustro i benefici e le strategie più appropriate per recitare dei mantra propizi e prodigiosi (i dettagli in questo articolo).
Come un fiammifero contiene il fuoco, il latte contiene il burro, un coltello smussato contiene una lama affilata, così anche noi abbiamo poteri latenti che aspettano solo di essere risvegliati.
Om tat sat,
Andrea (Ananda Kishor)

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