Luca Sansone

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Possiamo davvero capire se ci ammaleremo leggendo il nostro dna con i test genetici?

2019-04-02 06:44:57

I test del rischio poligenico passano in rassegna il nostro dna alla ricerca di tracce genetiche associate al rischio di alcune malattie. Raggiungono il mercato e fanno proseliti importanti, ma la comunità scientifica li guarda con scetticismo.

Matthew Hancock è il segretario di stato alla salute del Regno Unito. Entro i 70 anni la probabilità di contrarre questo tipo di cancro, ha detto, sarebbe pari al 15%. «Ho già prenotato un esame del sangue e ovviamente starò ben attento invecchiando», ha commentato, «Grazie a Dio per la genomica».Tutto a beneficio dei sistemi sanitari, che potrebbero anche disporre meglio le risorse e progettare interventi puntuali di prevenzione, sostengono gli sviluppatori di questi test. 

Il caso del segretario di stato del Regno Unito, pur volendo elogiare le promesse della genomica ne mette in luce alcuni dei rischi e dei limiti attuali. Il test cui si è sottoposto Hancock è stato eseguito dalla Genomics Plc, ricordano dal Mit Technology Review. «Ma soprattutto questi test nella maggior parte dei casi danno un responso, in termini di rischio, che si discosta solo leggermente dalla media per la popolazione generale e che non produce un cambio di atteggiamento terapeutico», spiega Salviati. Il rischio per la popolazione maschile generale di sviluppare tumore alla prostata è pari a circa il 12% nel corso della vita. 

«Anche in assenza di un test genetico che ci dica che siamo più suscettibili al rischio di sviluppare diabete, consiglieremmo cose diverse dal condurre una vita sana, seguendo un’alimentazione corretta e facendo attività fisica?», si chiede ancora Salviati. La rilevanza clinica a oggi di questi test è oggi alquanto dubbia, scriveva in proposito solo qualche giorno fa David Curtis dell’University College of London sulle pagine di Annals of Human Genetics. Specie quando si consideri solo l’aspetto genetico, senza pesare fattori quali l’età o il genere. Curtis si era espresso duramente anche commentando il caso del segretario britannico, identificando i pericoli di simili rivendicazioni. 

Come accennato gli studi sui grandi coorti di pazienti permettono di identificare polimorfismi associati a patologie utili per l’analisi delle vie molecolari coinvolte e potenzialmente anche per lo sviluppo di nuovi farmaci. «Ci sono test, come quello per i geni Brca, i cosiddetti gene di Angelina Jolie, che possono essere utili perché stimano il rischio di ammalarsi di tumore – ricorda Salviati – ma parliamo di singoli geni e soprattutto di rischi elevati, casi in cui effettivamente la risposta di un test può influenzare sensibilmente le scelte terapeutiche». Le analisi sui profili genetici dei tumori si fanno in ambito di ricerca ma non in clinica, se si esclude la caratterizzazione genetica necessaria alla somministrazione di alcune terapie personalizzate.