Il problema non è “solo” sanitario. E non è neanche “solo” economico.
Il problema, anzitutto, è di tenuta mentale.
Durante il primo lockdown siamo stati bravi, non tutti ma quasi. E lo siamo stati perché, anche inconsciamente, credevamo che a giugno sarebbe finito tutto.
Questa seconda ondata, tanto prevedibile quanto colpevolmente non prevista, è più difficile. Non (per ora) a livello medico, ma mentale. È un’ondata che va ad abbattersi su un paese stremato, impaurito, incarognito. E diviso. Spaccato in due, forse anche in tre o quattro. Con troppe carogne, spesso anche note, che soffiano sul fuoco della disperazione.
Mai come adesso dovremmo fare squadra, perché ci attendono mesi difficilissimi. Ma siamo stanchi. Confusi e sfibrati. Speriamo che la serie A vada avanti giusto per avere un diversivo nella tormenta, quasi come i gladiatori nell’antica Roma. Insultiamo i Galli e i Crisanti perché hanno la colpa di dire il vero, ed è più facile prendersela con chi ti indica la tragedia piuttosto che con la tragedia stessa. Tifiamo irrazionalmente per chi promette soluzioni facili, quando qui soluzioni facili non ce ne sono: qui siamo dentro una tragedia mondiale, ma in tanti fanno finta che non ci sia. L’atteggiamento migliore per colare tutto a picco.
Dai ieri mi è caduto addosso una enorme cappa di cupezza. Di pesante tristezza. Durante il primo lockdown non l’avevo forse mai provata: non così forte, non così nitida. Non così assoluta.
Mai come adesso avverto un tremendo scoramento generalizzato. Mai come adesso mi sento lucidamente preoccupato. Mai come adesso trovo che la sfida sia improba. Per motivi sanitari. Economici. E soprattutto di “cedimento trasversale mentale”.
Lungi da me arrendermi o dichiarare resa: sarebbe il messaggio peggiore da lanciare. Ma occorrerà essere monumentalmente forti e bravi, nei prossimi mesi. Davvero molto forti e molto bravi.
(cit.)