Delia Di Pasquale

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Un ricordo di Alda Merini, la poetessa dell’inquietudine

2020-04-02 08:39:04

Se ne va, a settantotto anni, il primo novembre del 2009, Alda Merini, la poetessa milanese “folle”, che amava definirsi “una piccola ape furibonda”.

Era una donna innamorata della vita e di ciò che le dava senso, una donna che ha fatto della poesia una ragione di vita e della vita una poesia, anche nei momenti più difficili. “La vita non ha senso. Anzi è la vita che ci dà un senso. Sempre che la lasciamo parlare. Dobbiamo ascoltarla, la vita.”

Con i suoi versi questa poetessa, che cominciò a scrivere a sedici anni, ha saputo raccontare i vari aspetti dell’essere umano: l’amore, l’affetto per i figli, la sofferenza, la ricerca dell’incontro con Dio. Lei stessa ci parla della sua vita tormentata, della malattia mentale che la portò al ricovero in una clinica, una malattia alla quale non si arrese e con la quale riuscì a convivere, e da cui trasse la capacità di scandagliare meglio l’animo umano. Tacque per anni, durante la malattia, fino a quando tornò a scrivere e a raccontarsi:

Ho conosciuto Gerico….

Ho avuto anch’io la mia Palestina

Le mura del manicomio 

Erano le mura di Gerico…

…lì dentro eravamo ebrei…


E poi a Luigi Vaccari, per un’intervista sul Messaggero, nel 1998, disse di essere stata assente da casa per molti anni, vittima di una psicosi.

La poesia di Alda Merini, è stato osservato, oscilla tra ciò che è e ciò che si spera, ciò che si sceglie come eterno e infinito, e ciò che ci travolge nella banalità della cronaca. Spesso è un segno della sua fede: “Ogni giorno che passa/fiorisce un usignolo/di bel canto nel ramo/che fa qualche richiamo/modesto richiamo/alla povera vita/usignolo che canta/di povertà infinita”. Quel “vuoto d’amore”, che le mancò sempre, nonostante due matrimoni e quattro figli, esplode fino ad abbracciare l’universo umano. 

La Merini ha saputo amare il prossimo nelle persone che condivisero con lei l’esperienza dell’ospedale psichiatrico, un’esperienza vissuta per circa un decennio, che non poteva non segnare la sua esistenza. 

Una volta, durante una trasmissione televisiva, rivelò la sua gratitudine, nonostante tutto, verso la vita, affermando che solo la presenza di un’entità spirituale poteva spiegare la sua liberazione dall’orrore del manicomio. In esso, tuttavia, conobbe anche persone buone, angeli umani che vi si dedicavano, tanto da condurla a dire: “Il vero inferno è fuori, qui a contatto degli altri, che ti giudicano, ti criticano e non ti amano”.

L’elemento biografico ha un grande rilievo nell’opera della Merini, anche se le sue composizioni sono belle per i sentimenti che riescono a suscitare, e non si deve commettere l’errore che si commette spesso nei confronti di poeti dalla vita attraversata dal dolore, primo tra tutti il Leopardi.

“Non ho bisogno di denaro.

Ho bisogno di sentimenti,

di parole, di parole scelte sapientemente,

di fiori detti pensieri,

di rose dette presenze, 

di sogni che abitino gli alberi,

di canzoni che facciano danzare le statue,

di stelle che mormorino all’orecchio degli amanti.

Ho bisogno di poesia,

questa magia che brucia la pesantezza delle parole,

che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.”


La poetessa triste, la poetessa della pazzia, è anche la donna che sente il bisogno di compagnia, e che trascorre gli ultimi anni in solitudine, circondata solo da pochi oggetti: un piccolo televisore, quadri, foto, scritte sulle pareti, e tanti, tanti libri, che per lei erano vita. Eppure dichiarava a chiunque: “Scrivo per stare sola… perché per un poeta è essenziale essere solo… la poesia è una grazia di Dio”.  

Alda è stata e sarà un monito perenne per tutte quelle persone che spesso definiscono la “normalità”. A volte, infatti, agli anormali, più degli altri, è dato di ascoltare la sofferenza della gente e tutte quelle emozioni che lei è stata capace di esprimere in versi. Quando si vive la peggiore delle tragedie umane e si riesce a risalire dal fondo in cui si era caduti, quando si è ancora capaci di sentire il profumo dei fiori o il colore di un tramonto, si è veramente “diversi”.

Se non avesse vissuto questi tormenti dell’anima, rendendoceli con parole straordinarie, Alda Merini non ci avrebbe lasciato la sua preziosa eredità. 

Delia Di Pasquale