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Strage da selfie, troppe vite sprecate in una folle manciata di secondi
L'auto che si schianta mentre il padre posta un video, e il figlio tredicenne muore. Il ragazzo che precipita dal tetto di un centro commerciale per un auto-scatto. Un adolescente su dieci in Italia fa selfie estremi.
Francesco aveva solo 13 anni. È morto in un lampo di follia, una vita sprecata, nel modo più assurdo nell’era della schiavitù da protesi elettroniche. Il padre, Fabio Provenzano (anche per lui la vita, dopo questa tragedia, si è spenta, e possiamo solo augurargli che si riaccenda…), guidava la sua Bmw 320, di notte, sull’autostrada siciliana A29, tra Mazara del Vallo e Palermo. Improvvisamente decide di fare un video e di postarlo: questione di attimi, lo schianto fatale, e in venti secondi la vita di Francesco vola via, e anche il suo fratellino minore, Antonio, 9 anni, resta gravemente ferito. C’è una strage silenziosa da selfie. Video e diretta Facebook, una strage continua, una messa in fila di vite sprecate, che davvero è difficile da decifrare con qualsiasi parametro riconducibile al buonsenso della persona umana. Una follia…
MORIRE PER UN SELFIE
Una follia che, come rileva il Rapporto Italia 2019 di Eurispes, in sei anni, nel periodo compreso tra il mese di ottobre 2011 e quello di novembre 2017, ha contato ben 259 vittime, giovanissimi che hanno perso la vita nel tentativo di scattarsi un selfie “pericoloso” per poi condividerlo sui social.
Solo qualche giorno fa la tragica morte di Luigi e Fausto a causa di un incidente stradale sulla A1 nel tratto tra Modena Nord e Modena Sud. Hanno perso il controllo dell’auto, schiantandosi contro il guardrail. Poco prima dello schianto mortale avevano registrato un video in diretta su Facebook in cui si vantavano della loro folle corsa in autostrada a 220 all’ora.
La morte di Luigi e Fausto però, è soltanto l’ultimo di una serie di incidenti mortali dovuti alla mania di postare sui social le proprie bravate, che si tratti di un selfie in bilico sul tetto di un grattacielo o un video mentre si guida in macchina a tutta velocità.
SELFIE KILLER
Dal Rapporto, che rilancia uno studio dell’India Institute of Medical Sciences di Nuova Delhi, emerge inoltre che la fascia d’età maggiormente coinvolta è quella di età compresa tra i 20 e i 29 anni (e per la quale si contano 106 vittime), a cui segue quella relativa alla fascia 10-19 anni dove le vittime sono ben 76. Altre 20 vittime si contano nella fascia tra i 30 e i 39 anni, 2 tra i 50 e i 59 anni e 3 tra i 60 e i 69 anni. In totale, delle 259 persone rimaste vittime dei selfie estremi, 153 sono uomini, 106 donne.
La maggior parte degli incidenti sono avvenuti a causa di cadute dall’alto di palazzi ma anche montagne e scogliere e dall’investimento da parte di treni: in molti casi, nel tentativo di farsi un selfie sui binari.
KILFIE
È impossibile consolare un padre che ha perso un figlio per la febbre dei selfie. Anche Andrea Barone, 15 anni, era salito con gli amici sul tetto di un centro commerciale, al confine tra Milano e Sesto San Giovanni, si era fatto una foto sfidando qualsiasi rischio ed è precipitato all’interno dell’edificio, da un punto dove non esisteva alcuna forma di protezione.
SELFIE PERICOLOSI
Una vita sprecata come quella del quindicenne morto a Terni, mentre scattava la foto all’amico in scooter che gli doveva passare vicino, del suo coetaneo travolto da un’onda mentre si auto-fotografava a picco sul mare, del ventenne di Val di Susa precipitato mentre cerca di saltare una scalata. Non sono più singoli episodi, singole tragedie e fatalità. L’Osservatorio nazionale dell’adolescenza ha diffuso dei dati ricavati da un questionario compilato da ben 8mila adolescenti in tutta Italia. Leggete bene che cosa viene fuori: l’8 per cento di loro è stato sfidato a fare un selfie estremo e un adolescente su dieci lo ha fatto mettendo a rischio la propria incolumità, una percentuale che sale al 12 per cento nella fascia di età tra gli 11 e i 13 anni.
SELFIE MORTALI
Il selfie estremo è diventato il sintomo più evidente di ciò che sta avvenendo: la tecnologia sfrenata, senza conoscenza e senza difese, distrugge le nostre vite, in quanto ne elimina il valore, il senso. Come il lavoro, che nella gig economy gonfiata dal web, perde senso e diventa lavoretto. In queste condizioni i nostri figli, i nostri nipoti, come scrive Massimo Recalcati, sono letteralmente “senza rete”. Vittime incoscienti, martiri, di un uomo che ha perso il braccio di ferro con la macchina, e si è inchinato allo strapotere delle protesi elettriche ed elettroniche.
Alessandro non era un ragazzo strano. Amava davvero la vita, come oggi ricorda il padre distrutto. Non era prigioniero dell’alcol, della droga, della solitudine, dei mali più diffusi della contemporaneità. Era solo attratto da questa bestiale sottocultura del narcisismo individuale alimentato dagli smartphone, da un esibizionismo che deve sempre superare un limite, anche quello del più banale buonsenso, per potersi affermare. Era intrappolato da una modernità che non sappiamo più declinare, che ci semplicemente sfuggita di mano.
Dobbiamo rassegnarci a tutto ciò? Partita chiusa? Assolutamente no. Le risposte, con le relative contromisure, sono a portata di mano, tutti possiamo fare qualcosa, ma per reagire bisogna muoversi, essere attivi, e non cedere all’ineluttabile legge del progresso. Le risposte devono partire da famiglie e scuola, e ispirarsi alla declinazione di due verbi: vigilare ed educare. In fondo, nessun genitore, tranne i più scellerati, ignora le frequentazioni di un figlio adolescente, il suo rendimento a scuola, se e quando fa uso di droghe oppure quante sigarette fuma. E allora perché la vigilanza non deve allargarsi anche all’ambito dell’uso sfrenato della tecnologia? Siamo noi, nelle nostre case che possiamo tenere gli occhi aperti sui ragazzi e sulla loro deriva a caccia del selfie estremo, avendo ormai la misura concreta dei rischi. Siamo noi che possiamo sottrarli a questa diabolica calamita. Iniziando a dare il buon esempio, e non trasformandoci noi, persone di un’altra generazione, in macchiette della tecnologia che a loro volta, per puro narcisismo, stanno sempre a smanettare con qualche foto da mettere in Rete.