Con il termine giapponese "Hikikomori" (letteralmente, "stare in disparte, isolarsi") si indicano tutti quei giovani che decidono di ritirarsi dalla vita sociale e di rinchiudersi in casa loro. L'unica finestra per l'esterno diventa il PC, che finisce per diventare l'unico contatto con il mondo di fuori. Le cause di tale fenomeno sono svariate: bullismo, stress scolastico, difficoltà familiare, particolari dinamiche lavorative, competitività sociale...
La sofferenza dei giovani, tema di grande attualità, viene in questo caso rappresentata dalla solitudine. Tale rifiuto verso ogni contatto sociale si attua attraverso un fenomeno sempre più vasto, specialmente nella terra del Sol Levante, dove si attesta che gli "Hikikomori" siano pressapoco l'1% della popolazione mondiale nipponica. Questa realtà non sta colpendo solamente il Giappone: il disagio sociale è arrivato in Italia, dove sono già stati accertati numerosi casi di giovani (circa 100 mila), la maggior parte di sesso maschile.
La dipendenza da internet non è una causa dell'isolamento, ma piuttosto una conseguenza. Tante associazioni, oggigiorno, mirano a informare e sensibilizzare la popolazione mondiale a questo proposito: il fine è quello di capire i ragazzi, senza giudicarli, farli riflettere e fornire loro un appoggio e un aiuto.
Breve confronto dell'opera Guardiniana "Le età della vita" con la metodologia dell'opposizione polare: un rapporto tra la totalità e la singolarità che guida il nostro modo di vivere oggi.
La religiosità dei muiscas nella Colombia precolombiana
2018-11-13 09:42:32
Solitamente, quando si pensa alle antiche civiltà precolombiane, vengono in mente gli imperi delle civiltà azteche o inca: basti pensare che, oggigiorno, i centri di Machu Picchu e di Teotihuacan sono i resti archeologici più visitati in America, mete di migliaia di turisti l’anno. Tuttavia, agli inizi del 1500 d.C., gli spagnoli che si addentrarono nell’attuale territorio colombiano non trovarono società paragonabili a quelle messicane o peruviane, bensì una molteplicità di piccoli agglomerati umani. La Colombia ospitava numerose comunità indigene appartenenti alla famiglia linguistica chibcha, che veniva parlata dal Nicaragua all’attuale Repubblica dell’Ecuador. Sicuramente, la più importante tribù, per numero e per sviluppo culturale, è stata quella dei muiscas, la quale si estendeva sulla regione nota come l’Altopiano Cundiboyacense, nella cordigliera orientale delle Ande. All'interno della vita sociale muisca, la religione occupava un ruolo principale: non si può parlare di economia, politica o agricoltura delle tribù cundiboyacensi senza poter conoscere i principali miti e riti liturgici. Tutte le divinità rappresentavano le varie forze della natura: come la maggior parte dei nativi americani indigeni, anche i muiscas nutrivano un forte legame con la madre terra, considerata sacra in quanto garante della vita, manifestandole amore, rispetto e venerazione. Attraverso di essa, gli indios vivevano e si sentivano in comunione con i loro antenati e in armonia con gli dei. Le divinità che venivano adorate dal popolo erano le seguenti: Chiminigagua (una forza creatrice e onnipotente, da cui sorsero i primi raggi di luce e furono fatte la terra e le prime creature viventi), il dio Sole (unica divinità a cui offrivano sacrifici umani), Bachue (da cui nacque tutto il genere umano), Bochica (un benefattore del popolo), Cuchaviva (si invocava particolarmente durante il parto e le malattie), etc... Un rito molto importante – destinato a ingraziarsi il dio Sole e a fertilizzare la terra – era quello che veniva praticato presso la laguna di Guatavitá, situata a circa 60 chilometri da Bogotá, dove si effettuava la sacra cerimonia del indio dorado: come testimonia la “Balsa dorada”, databile attorno al 600-1600 d.C., oggi custodita nel Museo dell’Oro di Bogotá, questo rito diede origine alla leggenda di “El Dorado” . Il rituale si effettuava per l’investitura del capotribù: egli veniva cosparso di polvere dorata per poi immergersi nelle acque sacre della già citata laguna. Iniziavano poi le danze e i canti, che ripetevano la storia antica del popolo (attraverso le storie degli dei, le battaglie e altri fatti storici memorabili). Presso numerosi luoghi sacri sono stati trovati i famosi tunjos de oro: essi rappresentavano, in modo molto grossolano, gli indios in preghiera (altre volte, i tunjos rappresentavano anche figure zoomorfe). Alcuni furono realizzati in modo molto semplice, altri richiesero una manodopera più elaborata. A prescindere dalla loro raffigurazione, essi servivano ai sacerdoti – chiamati jeques – per raccogliere le offerte votive (più spesso smeraldi e oro in polvere) da parte della popolazione alle divinità. Quando i primi conquistadores spagnoli arrivarono all'Altopiano Cundiboyacense, come dimostrano i relati storici del XV-XVI secolo, non sempre presero in considerazione la possibilità che tali terre fossero abitate da popolazioni con un sovrano da rispettare e una cultura da riconoscere. Alcuni coloni ne approfittarono per derubare gli indigeni e piegarli al loro comando: l’idea che i nativi fossero considerati inferiori agli europei fu inaspettatamente appoggiata da alcuni teologi cristiani. Ma non tutti condividevano questa tesi: in Colombia, per esempio, ebbero risonanza gli interventi di Juan de los Barrios, primo vescovo di Bogotá, e san Luigi Bertrando (patrono della Colombia).