Davide Amato

Ricordo dagli studi del liceo questo passo del "De Rerum Natura" di Lucrezio. Parla di una vacca, il cui vitello è stato sacrificato agli déi. Lucrezio nota come questa vacca riconosca le orme del piccolo e cominci a chiamarlo col muggito e sempre più disperata e consapevole lo cerca tra i boschi e nella stalla. E sa bene che gli altri vitelli che vede non sono il suo. Versi latini che fanno riflettere sull'intelligenza degli animali, e sulla presenza di una coscienza e di sentimento. Ecco i versi latini. Provate a leggerli, anche senza comprenderli. Credo che in qualche modo riescano a trasmettere ugualmente qualcosa, questo è infatti il potere della poesia. "At mater viridis saltus orbata peragrans novit humi pedibus vestigia pressa bisulcis, omnia convisens oculis loca, si queat usquam conspicere amissum fetum, completque querellis frondiferum nemus adsistens et crebra revisit ad stabulum desiderio perfixa iuvenci, nec tenerae salices atque herbae rore vigentes fluminaque ulla queunt summis labentia ripis oblectare animum subitamque avertere curam, nec vitulorum aliae species per pabula laeta derivare queunt animum curaque levare; usque adeo quiddam proprium notumque requirit."

Davide Amato

Lo sapevate che "Helianthus annuus" e "Punica granatum" non sono incantesimi di Harry Potter e che "Pica pica" non è il verso di un Pokèmon??? Ma perché rispettivamente il girasole, il melograno e la gazza ladra hanno questi due nomi? Si tratta della cosiddetta Nomenclatura binomiale, una convenzione, usata per classificare piante, animali e batteri. L’ origine di questo tipo di nomenclatura si deve al botanico svizzero Caspar Bauhin, che per primo la utilizzò nella sua opera Pinax theatri botanici nel 1596. Si deve comunque al noto svedese Carl Nilsson Linnaeus, per gli amici italiani Carlo Linneo, l’uso di questo sistema per classificare le piante ed animali. Come funziona quindi, e quali sono i vantaggi di tale metodo? Si utilizzano due nomi latini o latinizzati e vengono decisi da chi descrive la pianta all’interno di un libro botanico o un articolo scientifico. Il primo termine indica il genere. E’ un po’ come il vostro cognome, che vi inserisce all’interno di un gruppo formato da diverse persone ma tutte discendenti da uno stesso antenato comune. Questo nome latino può essere del tutto originale, su inventiva del descrittore, ma a volte richiama il nome di una persona a cui viene dedicata la scoperta, come nel caso del genere Bauhinia (vi ricordate quel Caspar Bauhin citato poco fa?), oppure può richiamare il nome popolare, come il Triticum, che è come veniva chiamato il frumento. Il secondo nome, quando è di fianco al genere, indica in maniera univoca la specie. All’interno del Triticum infatti, troveremo il Triticum aestivum, ovvero il grano tenero, il Triticum durum, ovvero il grano duro, il Triticum spelta, ovvero il farro, e molti altri. Questo secondo nome può richiamare a caratteristiche della forma, come ad esempio la presenza di grani nel frutto della Punica granatum, oppure si possono riferire all’utilizzo come nella Melissa officinalis, o ancora ad un’area geografica come nel caso dell’Olea europaea. Accettare ed utilizzare questo nome scientifico permette a persone diverse, provenienti da zone diverse del pianeta e che parlano lingue diverse, di capire senza fraintendimenti a quale pianta o animale si stanno riferendo. Ciò è indispensabile del dibattito scientifico ed è uno dei maggiori vantaggi dell’utilizzo della nomenclatura binomiale. Un altro vantaggio è quello di poter intuire una caratteristica della pianta già dal nome, come nel caso della Magnolia grandiflora e associarla ad altre appartenenti allo stesso genere. Vi ha incuriosito questa piccola nozione? Sto aprendo un canale Youtube dove parlarerò di questo e tanti altri curiosi aspetti della botanica e dell'agronomia! Registratevi così da non perdere il primo video! https://www.youtube.com/channel/UCKOfG8LyUEIICN_lhuBuodA

Davide Amato

Per "goliardìa" si intende un gruppo tradizionale costituito generalmente da studenti universitari in cui il gusto della trasgressione, la ricerca dell'ironia, il piacere della compagnia e dell'avventura si affiancano a quello dello studio. A Padova, esiste un noto gruppo goliardico che si chiama "Clerici Vagantes". Ho sentito una volta questa canzone, di cui non c'è traccia registrata in studio nè il testo lo si ritrova da qualche parte su internet. Ho avuto il piacere di trascriverla. La canzone si chiama Aezan, e dalla mia interpretazione, pare parlare dell'uomo e della sua storia, dall'uscita dalle caverne all'incubo dell'autodistruzione. Che forse, alla fine di tutto, ci sia una nuova rinascità? Vi lascio al testo, che adoro da un punto di vista stilistico. (Nell'immagine, Prometeo ruba il fuoco, 1817, nell'interpretazione di Heinrich Friedrich Füger) Aezan, ti ricordi quando usciva il sole Ti allontanava dai giacigli d’erba con le dita di fiamma? La tua paura era la notte e il tuono, La Luna era la dea, la tua divinità. Aezan, ti ricordi quando a caccia il vento Ti riportava il suono della bestia che ti stava fuggendo? La tua paura era la notte e il tuono, La Luna era la via, e tu la sua viltà. Poi rubasti il fuoco dalla roccia vile E anche nella notte non temevi più. Ti facesti forte della sua conquista Divenisti eroe di tutte le tribù Con il braccio alzato poi sfidasti il vento, Nella gola l’urlo dell’umanità. Nei taburi un brivido di un mondo aperto, Nella danza il passo della libertà. Aezan, non ci fu il tempo per il tuo trionfo Mentre la Terra ti si offriva intatta come un corpo di carne. La fecondavi, pazza di frutti ed acqua Era la nuova dea, la sua fertitlità. Aezan, tutte le sere ritornavi al fuoco E lì cantavi delicate nenie con i flauti di canna. Le donne intanto, creavano l’amore, La sicurezza estrema della comunità. Poi salisti in alto ad oscurare il Sole Ma la tua saggezza non temeva più. Ferro fuoco ed oro, presunzione e pianto Nella tua caduta trascinavi giù. E precipitavi in incubi di sogno, Dentro gli occhi tutte le tue folli età Flauti senza voci, maschere di orrore, Nell’angoscia vuota dell’umanità. Ma restava il tempo che spezzava il sogno Dal delirio uscivi della realtà. Fu più tua le Terra nella sua purezza Male e appassionata per l’eternità Poi rubasti il fuoco dalla roccia vile E anche nella notte non temevi più. Ti facesti forte della sua conquista Divenisti eroe di tutte le tribù Con il braccio alzato poi sfidasti il vento, Nella gola l’urlo dell’umanità. Nei taburi un brivido di un mondo aperto, Nella danza il passo della libertà. (Aezan, Clerici Vagantes)

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