Psicologia & Relazioni
Contare qualcosa per qualcuno … un obiettivo di vita
Se esiste, come esiste per davvero (fatte le necessarie distinzioni “patologiche”), un filo che lega la nostra esistenza relazionale, lo stesso è rintracciabile nel bisogno (innato) di contare qualcosa per qualcuno.
È un bisogno vitale poiché, sin dalla nascita e via via lungo tutta la nostra esistenza, ci dispone all’essere accolti come ad accogliere chi ci sta accanto. Non tutti indistintamente ma, certamente, quelle persone che percepiamo a noi più vicine, più disponibili a quell’atteggiamento di cura così importante per la nostra stessa sopravvivenza.
Quando una persona conta, così come quando qualcosa conta, vuol dire che ha un valore rilevante, conta molto, non è indifferente, tale da riporre quella fiducia incondizionata, quell’abbandono, tipico di chi ama.
È quanto possibile osservare nell’“attaccamento” (reciproco) di una madre con il proprio bambino, degli amanti, tra amici, tra colleghi d’ufficio cooperanti e collaborativi tra loro, in cui ci si sente sostenuti, protetti, curati, ascoltati nei nostri bisogni: di contare qualcosa per l’Altro, di essere importante per l’Altro.
Ed è proprio da bambini, e dal tipo di cure ricevute, che facciamo questa scelta e ci attiviamo (per il resto della vita) a perpetrarla, costi quel che costi, pur di mantenere una qualche forma di attaccamento (per noi) di senso. ConTeSto poiché accolto, accettato, ricevuto, custodito, preservato, tale da poter sostenere di essere importante per te, che tieni a me.
È in quello “Sto”, in quello “stare”, che si gioca la partita delle nostre relazioni: di quelle affettive come di quelle sociali più in generale. In quel tempo che ciascuno ha ricevuto dello stare accanto da parte di qualcuno. Non un tempo qualunque, quanto un tempo di cura, attenzione, ascolto (e quant’altro espresso in precedenza), tale da consentire il percepirsi Persona: non una Persona qualunque, ma qualcuno di importante, speciale. Qualcuno amato, desiderato.
Si tratta di uno Stare-Con l’Altro, scegliendo – e tornando a scegliere giorno dopo giorno – l’Altro attraverso relazioni di senso, fondate sull’autenticità delle proprie emozioni e sentimenti, spendendosi affettivamente senza riserve, calcoli o paure (rischiando su ciò, la possibilità del tradimento è sempre dietro l’angolo); donando il meglio di sé per quel che si è capaci (più o meno consapevolmente) di offrire.
Da questo tipo di relazioni si apprende di come stare al mondo, di come spendersi nelle proprie relazioni di cura. Si impara a come far percepire all’Altro di contare qualcosa per me, di essere qualcuno per me importante, di valore, qualcuno a cui tengo: che ConTeSto poiché, così agendo, dò senso al mio essere al mondo e al tuo essere al mondo.
E in questo tempo di individualismo e di opportunismi relazionali, di indifferenza, di solitudini, di corsa, di affaccendamenti frenetici, di paura dello straniero (ma tutti siamo stranieri agli altri), di conseguenti fragilità e vulnerabilità individuali e sociali, in questo tempo virtuale, “SoStare” in un incontro è restituire (mi ripeto, a se stessi come all’Altro) il valore di contare qualcosa per qualcuno.