CB-Romanzi Christian Biasi - Autore

Le due metà del Libro

IL SEGRETO DEI GARAMANTI

2021-02-04 19:48:47

Un popolo di cui c'è notizia fin dal II millenio, e che dominò l'Egitto quando le popolazioni dette Hyksos occuparono il paese tra il 1720 e il 1520 a.C. , aveva la sua roccaforte a Garama, nel cuore del Sahara. Scopri cosa mi ha ispirato nell'estratto dal mio ultimo romanzo: Le Sabbie del Destino

Il popolo misterioso dei Garamanti mi ha fornito interessanti spunti per lo sviluppo della trama del mio ultimo romanzo Le Sabbie del Destino, in uno punto nodale della vicende del terzo libro della serie Celtic Saga.
Leggi un estratto e approfondisci l'aspetto storico nell'articolo del mio canale tematico Storia antica e Medievale.
ESTRATTO DA: Celtic Saga Libro III Le Sabbie del Destino


L'arrivo alla capitale dei Garamanti aveva lasciato tutti i membri della carovana a bocca aperta. Dopo le fatiche lungo un tragitto arido e difficile, la vallata fertile e verde, che costituiva il cuore di quel regno, aveva rinnovato la loro speranza, rafforzando il loro spirito abbattuto, dopo i tragici eventi della battaglia contro i predoni.
A poche leghe da Garama, avevano incontrato un reparto di quei fieri guerrieri a cavallo, che avevano al seguito un'unità di quadrighe da guerra, che ad Ailìs ricordarono i carri  usati anche dai nobili di Eriu. Li avevano scortati alla capitale, dove, come ogni convoglio di mercanti che vi transitava, avevano dovuto pagare un ingente tributo, ma in cambio erano stati accolti con cordialità da quella esotica e originale comunità. Avevano anche assegnato loro dei confortevoli alloggiamenti, e dei recinti dove far riposare i loro animali.
L'abitato era di notevoli dimensioni per i canoni dei Celti insulari, ed era difeso da una cinta ovale di mura, rinforzata da otto possenti torri, che racchiudeva al suo interno anche un'altura dove sorgeva la roccaforte.
Al centro della città, che contava più di quattromila abitanti stabili, c'era la grande piazza del mercato, dove convergevano le vie principali, ampie e dritte, che puntavano ai quattro punti cardinali. Da lì si dipartivano le piste, che costituivano le principali vie commerciali attraverso il Grande Deserto. La ricchezza di Garama, infatti, derivava dal completo controllo di esse, poiché era l'unico crocevia, posto al centro di qualsiasi rotta carovaniera. Il resto della rete stradale della città era costituito da piazze e vie, che suddividevano in modo irregolare le costruzioni di mattoni, intonacate con vivaci colori, e che si addossavano una alle altre, a gruppi. Tra le case c'erano palme da dattero, orti, e piante esotiche, che erano dei veri propri giardini, accuditi e mantenuti con la massima cura.
La ricchezza della capitale era evidente anche per i porticati addossati agli edifici, ed ornati da colonne di marmo, con capitelli a foglie di palma. Nel tempio di Amon, situato nel centro della città, poco oltre la piazza del mercato, i pilastri erano come quelli che avevano già visto in Egitto, con i fusti coperti dalle incisioni di scene divine e geroglifici, sovrastati da capitelli a forma di fiore di loto.

I Garamanti erano bianchi di carnagione e scuri di barba e capelli, molto simili alle altre popolazioni che vivevano sulle due sponde del mediterraneo. Inoltre, avevano molti tratti della loro cultura, simili agli Egizi, soprattutto per quanto riguardava la religione.
Gli uomini erano dei fieri guerrieri, che però praticavano anche l'agricoltura e l'artigianato, oltre che il commercio, che era la fonte della maggior parte dei loro guadagni. Allevavano bovini e cavalli, distribuiti in numerose mandrie, che pascolavano libere nella verde vallata.
Vestivano semplicemente, con una corta tunica di lana o di pelle, che arrivava poco sotto l'inguine. Si adornavano il capo con una fascia di cuoio, con delle penne di struzzo infilate, in modo da formare una specie di diadema, e che variavano di numero, indicando il valore e il rango di ogni individuo.
Le donne erano vestite con una tunica di morbida pelle, di color rosso, che scendeva fino alle caviglie, ma che era sfrangiata dalle cosce in giù. Erano tutte abbellite da gioielli di varia fattura, infatti portavano numerosi anelli alle dita, ricchi bracciali ai polsi e agli avambracci, e preziose collane e medaglioni al collo, tutti lavorati in oro e argento, o in avorio e in pietre dure, tra cui ne spiccava una color verde oltremare.
Anche le donne amavano agghindarsi con piume di struzzo, ma le intrecciavano invece ai capelli, in elaborate ed eleganti acconciature.
Ma la particolarità, che era più evidente riguardo alle donne dei Garamanti, era che erano loro che reggevano le sorti di quella comunità, che era una società spiccatamente di tipo matriarcale, anche se avevano un Re, ed erano gli uomini ad occuparsi della guerra e della difesa.
Praticamente il Re era, come per i Celti nei tempi più antichi, il brenn, ovvero il capo guerra, e Ailìs e gli altri ne ebbero la riprova il terzo giorno dal loro arrivo, quando furono convocati alla rocca.
Con la principessa di Árainn, risalirono la collina anche Sagila, Phylo, Taran, Finn, e Nikaia, scortati da quattro guerrieri armati di lancia, e con uno scudo simile a quello che i Greci chiamavano pelta, in legno, e ricoperto da una pelle di toro, con una forma che ricordava la Luna crescente.
Arrivati alla roccaforte, furono introdotti in un edificio con la facciata di forma quadrangolare, che terminava in un cornicione sporgente, sorretto da quattro imponenti pilasti, che finivano con dei capitelli a foglie di palma, in stile egizio.
All'interno si apriva una sala rettangolare, dove su una pedana di legno di tre gradini di altezza, sedeva il Re dei Garamanti, affiancato da un paio di dignitari, che si distinguevano solo per un numero maggiore di penne di struzzo nei loro diademi, rispetto agli altri uomini che avevano fin'ora incontrato.
«Benvenuti nella mia dimora» disse il Re, parlando in un buon greco, così che tutti potessero comprenderlo «io sono Iklan primo del mio nome, Amenukal dei Garamanti, capo della confederazione e degli eserciti, spero che vi siate ripresi dal viaggio, e dalle vicissitudini di cui mi è giunta voce» li accolse con quelle parole cordiali, che suonavano sincere.
L'Amenukal era un uomo di corporatura robusta, di forse circa quarantacinque anni e, a differenza degli altri, portava due sole penne bianche, appuntate come due corna, su un copricapo di bronzo, che per forma poteva ricordare la corona dell'Alto Egitto, solamente più bassa, e senza l'ureo sulla parte superiore, con quella posteriore meno allungata.
Sopra la corta tunica di lana, uguale a quella degli altri uomini, però vestiva un altro abito, fatto con la pelle di un leopardo, che aveva una sola manica corta a destra, e un buco dove infilare la testa, mentre era solo annodato sulla spalla sinistra, da dove scendeva con uno spacco, lasciando scoperto tutto il corpo su quel lato.




«La vostra ospitalità è degna della vostra grande fama» ringraziò Taran a nome di tutti «e la nostra permanenza sarà altrettanto degnamente ricompensata come più potremo, Signore Iklan».
L'Amenukal sorrise bonariamente e poi rispose al bardo.
«É sufficiente che, come ogni buon mercante, abbiate versato quello che spetta al nostro popolo come tributo per il transito, e che avete già prontamente corrisposto, ma ci sono molte notizie sui paesi da dove provenite che vorrei udire, in particolare, sulle voci che sono giunte fin qua, della guerra tra i Romani e il Regno dei Faraoni».
«Sarà nostro piacere rispondere a tutte le tue domande» confermò Phylo questa volta.
«Ve ne sono grato» disse Iklan alzandosi in piedi «ma potremo farlo più comodamente mentre ceneremo, visto che il tramonto si sta avvicinando» poi, rivolgendosi ad Ailìs e alle altre due donne che erano con loro, aggiunse con un tono più solenne «La nostra Ymma Azura, la Madre del Cielo» tradusse il titolo che aveva usato «Umeyda, è il suo nome, vuole vedere le nostre ospiti privatamente, e vi prega di seguire la sua ancella, che vi porterà da lei, mentre noi uomini discuteremo delle faccende a cui stavamo accennando, se sarete cosi cortesi da accettare» concluse battendo le mani, così che, da dietro una cortina sul fondo della sala, apparve una giovane vestita con la tipica tunica di pelle rossa della loro donne.
«Saremo liete di incontrare la vostra Signora Umeyda» rispose Ailìs, che aveva afferrato al volo che, dietro la cortesia, si celava una richiesta che non potevano rifiutare, e che il personaggio che le aveva invitate, era in realtà colei che deteneva il vero potere in quel esotico e antico regno.
Gli uomini seguirono Iklan in una sala da pranzo retrostante, dove sedettero su dei tappeti incrociando le gambe, o appoggiandosi sui numerosi cuscini, sparsi tutto attorno, mentre veniva servita della frutta sui tavoli bassi, intanto che sarebbe venuta ora di cena.
Invece Ailìs, Sagila, e Nikaia, furono condotte attraverso un lungo corridoio, che correva lungo il fianco dell'edificio, fino ad un ampia terrazza sul retro del palazzo.
La vista che si offrì loro, con il Sole che tramontando tingeva di fuoco e di oro le distese ai piedi della collina, era di impressionante bellezza e romantica atmosfera.
La donna che le stava attendendo, sorrise, facendo loro segno di accomodarsi sulle basse seggiole, che erano state preparate per loro vicino alla sua.
Umeyda aveva dei lineamenti fini e nobili, e un'età indefinita quasi. Doveva aver superato le quaranta primavere, ma la la pelle del suo viso era liscia e morbida, e non vi era traccia di rughe sulla sua fronte, né attorno alla bocca. Le sue labbra erano ben delineate e carnose. I suoi capelli, di un castano tendente al rossiccio, erano acconciati in lunghe treccine, che portava sciolte, e che ricadevano fino alle spalle.
A differenza delle altre donne del suo popolo, era vestita con un abito di fine stoffa color sabbia, con dei ricami dorati che ricordarono, alle due ospiti celtiche, le cornici di nodi tipici dell'arte del loro popolo.
Due collane, una più stretta con un disco d'oro come pendaglio, ed una più lunga, con un medaglione d'argento ed un grande turchese incastonato, insieme a numerosi anelli alle mani, e ai molti bracciali sui polsi, erano i suoi preziosi e raffinati ornamenti. Una pittura color terra, con dei delicati motivi floreali, stilizzati e geometrici, le decorava il dorso delle mani, risalendo fino agli avambracci.
Dopo che le tre ospiti si furono presentate, la Ymma Azura si limitò a sorridere, indicando con un cenno del capo verso il panorama, e rimanendo con loro a rimirare il disco solare, che stava scomparendo oltre l'orizzonte. Rimasero così in silenzio e in  contemplazione, fino a quando non arrivò l'imbrunire, e il cielo infuocato iniziava a fare spazio alla notte.


by Christian Biasi