Alessandro Rebuscini

"Est modus in rebus".

COMPETIZIONE O COLLABORAZIONE?

2021-02-14 20:19:06

Oggi ha più senso competere per accaparrarsi le posizioni migliori del podio, lasciandosi alle spalle una fila di sconfitti, oppure collaborare per arrivare ad un compromesso che consenta a tutti vivere un'esistenza felice e dignitosa?

Concentrare le proprie energie per vincere contro gli altri oppure unirle a quelle altrui per vincere insieme?

Recentemente ho avuto una "discussione" con alcuni colleghi di lavoro, su un tema che ritengo essenziale per la vita dell'essere umano e più in generale della vita su questo mondo.

Questo scambio di opinioni è nato da una sfida che mi è stata proposta: vediamo se a fine mese avrai raggiunto un risultato migliore tu oppure Tizio, Caio o Sempronio.

Non potevano scegliere persona più sbagliata a cui proporre una sfida.

Infatti personalmente ho sempre disdegnato l'idea di sfidarmi con qualcuno e, tutte o quasi, le scelte che ho compiuto nella mia vita sono state basate sull'allontanarmi dal mondo della competizione.

Prova lampante di questa mia attitudine è rappresentata dalla scelta di praticare il karate, non come disciplina sportiva ma come arte marziale, il cui obiettivo non è quello di sconfiggere un avversario all'interno di una competizione bensì di migliorarsi costantemente attraverso il perfezionamento fisico, mentale e spirituale per essere in grado di evitare lo scontro in tutti i modi possibili.

Inevitabilmente, attraverso questo continuo allenamento, si sviluppano delle abilità che, qualora non fosse possibile evitare lo scontro, oppure si presentasse una situazione nella quale diventasse necessario utilizzarle, potrebbero fare la differenza tra il successo o l'insuccesso.

Cambia quindi il modo di approcciarsi a tale disciplina e cambia lo scopo.

Questo esempio è per me importante per far comprendere come fondamentalmente non è necessario, per vincere, focalizzarsi sul volere essere migliore di un altro. 

Più utile è cercare di essere la miglior versione di se stesso.

Fin qui vi ho raccontato cosa mi ha insegnato la pratica di un'arte marziale a riguardo della competitività.

Ora invece voglio trattare questo tema da un punto di vista prettamente legato al tema del vivere all'interno di una società sul nostro pianeta.

Noi occidentali, già dalla tenera età, veniamo cresciuti con insegnamenti che ci spingono ad approcciarci alla vita come se questa fosse una lunghissima e continua competizione: dobbiamo essere i più bravi se vogliamo raggiungere quel determinato obiettivo.

Una delle "leggi" che facciamo nostre ancor prima di imparare a riconoscerci allo specchio, è quella del più forte sono, più probabilità ho di sopravvivere. Infatti alcune ricerche dimostrano che già nei primi mesi di vita il bambino attraverso il "senso della dominanza sociale" comprendono che il più grosso è quello che probabilmente ha la meglio sul più piccolo. 

A questo naturale meccanismo di sviluppo si aggiunge l'insegnamento dei genitori, che spesso e volentieri tendono a far assimilare ai piccoli alcuni atteggiamenti sbagliati. 

Il concetto di competizione infatti non è presente nei bambini ma viene, da loro, facilmente assimilato per via delle continue esposizioni ad atteggiamenti competitivi dimostrati dai loro genitori.

Crescendo questi futuri uomini si confronteranno con un mondo spietatamente competitivo in ogni ambito.

La scuola, lo sport, il lavoro sono tutti ambienti nei quali la competizione regna.

Con questo scritto non intendo far passare il concetto che la competizione è sempre e comunque negativa. Vi sono infatti anche aspetti positivi e costruttivi che possono emergere attraverso una "sana competizione". 

Come abbiamo visto prima infatti, la competizione può aiutarci a migliorarci costantemente, ma quando questa diventa mirata al volere essere a tutti i costi migliore degli altri, potrebbero nascere alcuni problemi.

Cosa ci insegna la natura al riguardo?

Se osserviamo attentamente la natura, possiamo renderci conto che, al contrario di quello che apparentemente e superficialmente possiamo interpretare come la lotta per la sopravvivenza, nella quale è il più debole a soccombere, in realtà ogni ecosistema è possibile grazie alla collaborazione tra i diversi organismi che lo compongono interagendo.

Addirittura in circostanze critiche alcune specie animali e vegetali dimostrano di riuscire a sopravvivere proprio grazie scelta di abbandonare la competizione a favore della collaborazione.

Un altro esempio che posso per esperienza citare riguarda la biodiversità che anche nella realizzazione di un orto è fondamentale per avere una produzione sana. 

Infatti, grazie a questo concetto, piante diverse si aiutano a sconfiggere parassiti e malattie ed in questo modo si adattano ai cambiamenti.

E nel mondo del lavoro?

Anche nel mondo del lavoro è stato dimostrato come la collaborazione è sicuramente più producente. 

Siamo ancora lontani da un modello lavorativo in cui la collaborazione prende il posto della competizione, ma sono molte le aziende che hanno capito che creare ambienti di lavoro in cui le persone possono cooperare per raggiungere un obiettivo, porta a numerosi vantaggi e risultati.

Ma non solo, anche i rapporti esterni all'azienda beneficiano di strategie cooperative come la creazione di "reti" basate sul sostegno reciproco.

Conclusione:

Io credo e sostengo fermamente il modello collaborativo come alternativa al modello competitivo al quale siamo abituati.

Non dimentichiamoci che molti dei problemi mondiali che oggi infliggono la terra sono derivati da una mentalità competitiva portata agli eccessi.

La mentalità del "mors tua vita mea" che porta l'essere umano a fare di tutto pur di prevalere sull'altro, come se ci fosse ancora la necessità di essere predatori a caccia di prede.

by Alessandro Rebuscini